La gestione del rischio in un’azienda alimentare

La gestione del rischio in un’azienda alimentare

Nelle aziende alimentari, il rischio elettivo attiene in via principale alla gestione delle contaminazioni o, comunque, dell’igienicità dei processi e dei prodotti. L’operatore alimentare, pertanto, deve garantire che l’alimento da lui prodotto, lavorato, confezionato e/o commercializzato sia igienicamente conforme e salubre per il consumatore.
Altro è, infatti, la gestione corretta del prodotto come oggetto commerciale, altro invece la cura della conformità igienico-sanitaria dello stesso. Le carenze connesse al primo aspetto possono dare adito a indagini e imputazioni per frodi commerciali nelle diverse possibili declinazioni (la più frequente è l’ipotesi della frode nell’esercizio del commercio ex art. 515 c.p.). Il secondo profilo, invece, riguarda proprio il ruolo di garante dell’igienicità dell’alimento che l’operatore del settore alimentare assume su di sé: quasi una sorta di rischio elettivo di settore che l’azienda deve dimostrare di conoscere e gestire efficacemente.
I fattori di rischio igienico-sanitario sono numerosissimi e diversificati in base al settore merceologico di riferimento (si pensi alle ovvie diversificazioni tra il settore della confetteria e quello ittico, per esempio): è onere dell’operatore di settore valutare i rischi aziendali e predisporre procedure adeguate per il riconoscimento e la gestione degli stessi, con lo scopo di eliminarli, contenerli ovvero eliminarne la diffusività.
Dop tale premessa, la norma sanzionatoria di settore più comunemente chiamata in causa è l’art. 5 l. 283/62, ovvero una norma che si innesta proprio all’interno di una più generale normativa sanitaria e che responsabilizza penalmente l’operatore che non fornisca prodotti igienicamente conformi ovvero alterati. A differenza delle frodi commerciali, peraltro, la contravvenzione dell’art. 5 l. 283/62 è integrata anche dalla sola sussistenza di un atteggiamento colposo dell’operatore, ovvero il reato si configura semplicemente in presenza di negligenza, imprudenza ovvero imperizia che abbiano consentito la commercializzazione o somministrazione di un alimento non conforme. Le strette maglie dell’imputazione così configurata, esigono, pertanto, particolare attenzione nella gestione dell’azienda proprio sotto il profilo dei controlli interni e (aspetto tutt’altro che banale) la dimostrabilità concreta di detta bona gestio in sede di giudizio.
L’assoluta eliminazione di ogni forma di contaminazione sia per qualità che per quantità in ambito alimentare è obiettivo irraggiungibile: al di là delle ipotesi in cui il fatto è oggettivamente insussistente per carenza degli elementi oggettivi dello stesso (per esempio una contestazione poi sconfessata da un’analisi di seconda istanza sul medesimo prodotto), dunque, ci si trova spesso e volentieri di fronte alla necessità di dimostrare, al fine di evitare una condanna dell’operatore incriminato, che questi ha strutturato l’azienda in modo accorto, dotandosi di procedure gestionali, ispettive e analitiche tali da ridurre al minimo il rischio di contaminazioni o diffusione delle stesse. In termini giuridico-processuali si parla di dimostrazione della diligenza dell’operatore, che con alto grado di probabilità potrà andare esente da responsabilità penali se riuscirà a dimostrare l’inesigibilità di un comportamento ulteriore e diverso per la gestione migliore o differente – più efficace – di quel rischio rinvenuto in sede di contestazione ufficiale. Nell’affrontare le imputazioni di tal genere, i tribunali di merito indagano con dovizia di particolari l’assetto interno dell’azienda proprio al fine di ravvisare una diligenza incolpevole, ovvero un’insufficiente vigilanza dell’operatore in sede di corretta gestione del rischio di processo e, quindi, di prodotto.
Di recentissima decisione è una questione riguardante, per esempio, un batterio assai insidioso in quanto assolutamente ubiquitario, ovvero idoneo a essere rinvenuto in ogni ambiente e su ogni superficie: la listeria. In questo caso l’indagato, chiamato in giudizio proprio per aver commercializzato un prodotto positivo alla listeria ex art. 5 lett. c) l. 283/62, è stato assolto per difetto dell’elemento soggettivo in quanto non sono emersi in giudizio profili di rimproverabilità, ovvero di carenza di diligenza: il prodotto, infatti, entrava in azienda previa effettuazione di controlli routinari e costanti, gli ambienti di lavorazione erano efficacemente e costantemente sanificati, il prodotto perfettamente tracciabile e gli audit interni sempre regolari e scevri da criticità. In estrema sintesi, pertanto, la gestione concretamente effettuata nel caso di specie di un rischio complesso, insidioso e multiforme come quello da listeria è stata ritenuto sufficiente e apprezzabile tanto che il Tribunale conclude affermando che è stato comprovato l’effettivo sforzo diligente dell’operatore, articolato secondo ogni profilo preventivabile e comunque che la gestione complessiva è idonea a escludere profili colposi in capo all’agente, imponendo un’assoluzione piena.

avv. Gaetano Forte
www.avvocatogaetanoforte.it

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