Contestazione penale, le deleghe di funzioni

Contestazione penale, le deleghe di funzioni

Nella nostra Carta costituzionale è codificato il principio generale della personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.). Tale norma è stata posta a base di interpretazioni giurisprudenziali variegate e integrazioni della normativa, per cercare di limitare quanto più possibile lo scostamento tra il reale responsabile di un fatto penalmente rilevante e il soggetto che viene chiamato a risponderne. In tema di sicurezza sul lavoro, la giurisprudenza si è ormai consolidata da anni nel riconoscere valore alle cosiddette “deleghe di funzioni” che permettono al datore di lavoro di delegare alcuni compiti specifici ad altri soggetti, i quali vengono poi chiamati a rispondere penalmente del mancato rispetto di quanto contenuto nella delega conferita. Da ultimo, il d.lgs. 81/08 ha addirittura codificato la possibilità di identificare più datori di lavoro all’interno della medesima realtà imprenditoriale, legando il concetto di “datore di lavoro” al reale presidio esercitato sull’unità produttiva. In tema di alimenti, considerata anche la minore casistica, si riscontrano meno esperienze giurisprudenziali.
Una recente sentenza della Corte di cassazione del 13.3.2013 n. 11835 è intervenuta sulla specifica materia, costituendo indubbiamente una posizione che riconosce prassi già consolidate. Nel caso, era stato prima indagato e poi imputato il legale rappresentante di un importante gruppo di supermercati, per la violazione dell’art. 5 lettera d) della legge 283/1962, per avere detenuto per vendere o comunque distribuito per il consumo sostanze alimentari pericolose per la salute, perché insudiciate e invase da roditori nonché esposte a contaminazione.
Avverso la sentenza di condanna, emessa dal Tribunale di Perugia, aveva proposto ricorso la difesa dell’imputato, sostenendo, in sostanza, che la struttura particolarmente articolata dell’azienda e l’esistenza di soggetti preposti alle singole unità avrebbero dovuto portare senz’altro a escludere la responsabilità dell’imputato.
La Corte muove dal presupposto che nel dibattimento di primo grado già era stato accertato che la società di cui l’imputato è legale rappresentante è strutturata secondo un sistema piramidale, che prevede un assistente capo filiale, un capo settore, un capoarea e infine un direttore regionale, peraltro dotato di procura speciale in materia di igiene degli alimenti.
Secondo la Corte, “l’imprenditore (o il vertice esecutivo dell’impresa societaria) assume certamente la responsabilità dell’organizzazione imprenditoriale anche per quanto concerne l’impostazione delle azioni volte al rispetto della normativa in materia di igiene degli alimenti. Possono crearsi, tuttavia, ulteriori posizioni di garanzia allorquando l’esigenza dell’efficacia nell’espletamento di queste azioni e nel controllo fattuale delle stesse abbia comportato l’affidamento di tale compito ad altri soggetti per non essere l’imprenditore personalmente in grado di garantirne il puntuale svolgimento. In tal caso – per il principio della personalità della responsabilità penale espresso dall’art. 27 Cost – il garante primario risponderà in concreto non di tutto ciò che accade nell’ambito dell’azienda, bensì soltanto, quanto ai reati colposi, delle violazioni di legge, nonchè dell’osservanza delle regole di diligenza, prudenza e perizia relative alla sua posizione”.
La corte rileva che “Nella vicenda in esame, il Tribunale si è limitato ad affermare che l’imputato ben conosceva la grave situazione in cui versava il supermercato (per essere stato avvertito dalla ditta di derattizzazione intervenuta per ben sei volte) e che nonostante questo ha omesso di far dotare quest’ultimo di porte a chiusura ermetica, unica vera precauzione tecnica che avrebbe potuto evitare la rilevata infestazione; ha quindi ravvisato a carico dell’imputato una culpa in eligendo in relazione all’affidamento della gestione dei supermercato di via (omissis) a personale chiaramente non all’altezza dei suoi compiti”.
Tuttavia la Corte conclude per l’inesattezza delle argomentazioni portate dal giudice di primo grado, perchè “il Tribunale, così operando – pur dando per scontate le rilevanti dimensioni della società, nell’ambito della quale l’imputato, quale legale rappresentante, occupava certamente una posizione che lo poneva al vertice di un vasto settore organizzativo ricomprendente numerose strutture aziendali con specifiche deleghe – non ha tratto tuttavia le dovute conseguenze derivanti dal suddetti principi di diritto e ha ritenuto il K.R. responsabile di una violazione che invece non poteva che far capo alla persona incaricata delle specifiche mansioni di controllo dell’igiene o, comunque, per culpa in vigilando, a chi, in quella locale articolazione della complessa struttura societaria, era preposto alla relativa direzione e vigilanza dell’unità aziendale. La riconduzione della responsabilità all’imputato, che per le sue menzionate attribuzioni verticistiche era risultato essere la persona fisica organicamente rappresentante la società, si è basata su argomentazioni astratte e formalistiche, che ponendo a carico del predetto un’omissione di intervento per dotare la struttura locale di porte a chiusura ermetica e una generica culpa in eligendo, si sono tradotte in definitiva nell’inammissibile applicazione, in campo penale, di presunzioni di colpa a vero e proprio titolo di responsabilità aggettiva e in violazione dei fondamentali principi della personalità della responsabilità penale”.
La Corte ribadisce pertanto un fondamentale principio di diritto “nei casi (come quello in esame) in cui l’apparato commerciale di una società sia articolato in più unità territoriali autonome, ciascuna affidata a un soggetto all’uopo investito di mansioni direttive, il problema della responsabilità connessa al rispetto dei requisiti igienici e sanitari dei prodotti commerciali va affrontato con riferimento alla singola struttura aziendale, all’interno della quale dovrà ricercarsi il responsabile dei fatti, commissivi od omissivi, integranti la colpa contravvenzionale in concreto contestata, senza dovere necessariamente esigere la prova specifica di una delega ad hoc da parte del legale rappresentante (o della persona che riveste una posizione organizzativa apicale) al preposto alla singola struttura o settore di servizio. Nella singola struttura, poi, il soggetto responsabile va individuato in base alla mansioni effettivamente esercitate, con prudente apprezzamento dei caso concreto e valutazione non condizionata da aprioristici schematismi”.
Pertanto, prendendo atto che le moderne esigenze produttive e strutturali impongono un decentramento delle responsabilità, la Corte ritiene non necessario il conferimento di delega formale, dovendosi ritenere la stessa implicita nella struttura aziendale, “allorquando ricorra la suddivisione dell’azienda in distinti settori, rami o servizi, ai quali siano preposti soggetti qualificati e idonei”.

Avv. Gaetano Forte
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