Formaggi, l’export sfida le ‘barriere’

La denuncia arriva da Assolatte, le barriere all’ingresso, i dazi doganali e i costi crescenti stanno mettendo a dura prova le aziende casearie italiane
Formaggi, l’export sfida le ‘barriere’

Tempi duri per i formaggi italiani, ma solo in alcuni Paesi. Negli Stati Uniti, per esempio, i formaggi sono l’alimento made in Italy più acquistato e il terzo prodotto alimentare più importato dall’Italia, dopo vino e olio. I produttori italiani, inoltre, sono i principali fornitori di formaggi degli States, con una quota che si aggira sul 30% dell’import caseario complessivo statunitense.

TROPPE BARRIERE ALL’INGRESSO – Tuttavia, denuncia Assolatte, le barriere all’ingresso, i dazi doganali e i costi crescenti stanno mettendo a dura prova le aziende casearie italiane, oltre alle barriere extra-tariffarie, come i requisiti igienico-sanitari diversi da quelli europei. Nel frattempo, la produzione casearia statunitense continua a crescere e i formaggi made in Usa, spesso cloni di quelli italiani, guadagnano spazi, tanto che l’export che è aumentato del 688% tra il 2000 e il 2014.

FORMAGGI PENALIZZATI IN UK – Anche nel Regno Unito i formaggi, e non solo italiani, stanno incontrando qualche difficoltà. A cominciare dal sistema dell’etichettatura a semaforo, che “riduce” il valore nutrizionale degli alimenti al solo contenuto di grassi, zuccheri e sale, senza considerare tutti gli altri nutrienti, e peraltro è calcolata su 100 grammi di cibo e non sulla porzione di consumo consigliata. La Gran Bretagna è il quarto mercato di sbocco dell’export dei prodotti lattiero-caseari italiani: nel 2015, secondo elaborazioni Assolatte su fonti Istat, ha comprato dall’Italia 31.802 tonnellate di formaggi (+7,8% sul 2014). Tuttavia, l’aumento dei volumi è stato ottenuto a spese delle aziende italiane, che hanno dovuto tagliare i prezzi delle eccellenze casearie per continuare a far acquistare ai consumatori britannici i formaggi made in Italy segnalati con il semaforo rosso.

ASSOLATTE, BENE I PROGRAMMI ‘3 A DAY’ –  In molti Paesi (come Francia, Canada, Stati Uniti, Olanda e Australia), invece, ricorda Assolatte, dalla collaborazione tra governi e mondo scientifico sono nati i programmi “3-a-day”, che promuovono il consumo giornaliero di tre porzioni di prodotti lattiero-caseari in una corretta ed equilibrata alimentazione, allo scopo di raggiungere l’intake ottimale di molti importanti nutrienti.

GRANAROLO VA VELOCE ALL’ESTERO – Ciò nonostante, le aziende italiane continuano a puntare decise sui mercati internazionali, europei e non. Come Granarolo, che già un anno fa ha inaugurato una filiale a Shanghai, per rispondere alla crescente richiesta del mercato cinese di beni alimentari di importazione. E ora il nuovo obiettivo è la Nuova Zelanda: lo scorso ottobre l’azienda ha rilevato il 25% di European Food, un distributore di prodotti made in Italy neozelandese con sede ad Auckland, con l’opzione di salire al 51% entro 12-18 mesi. Il mercato dei formaggi italiani in Nuova Zelanda vale oltre 5 milioni di euro e in Oceania 33 milioni, di cui oltre il 50% costituito da parmigiano reggiano e grana padano.

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