La mafia a tavola

Come le cosche sfruttano il mercato agroalimentare, uno dei più grandi business in Italia e in Europa. Tutti i trucchi per farla franca
La mafia a tavola

Dalle infiltrazioni nell’ortofrutta del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei casalesi e del pizzo sui pescatori, la criminalità nell’agroalimentare sviluppa un business stimato in 16 miliardi tra mafia, ‘ndrangheta e camorra. La malavita si è appropriata di vasti comparti dell’agroalimentare, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di modificare l’immagine dei prodotti Made in Italy. La lievitazione dei prezzi di frutta e verdura nella filiera che va dal produttore al consumatore è la conseguenza non solo dell’effetto dei monopoli, ma anche delle distorsioni e speculazioni dovute alle infiltrazioni della malavita nelle attività di intermediazione, dai mercati ortofrutticoli ai trasporti. L’ortofrutta è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi si moltiplicano fino al 300% dal campo alla tavola anche per effetto del controllo monopolistico dei mercati operato dalla malavita in certe realtà territoriali. Gli interessi criminali sono rivolti anche alle forme di investimento nelle catene commerciali della grande distribuzione, nella ristorazione e nelle aree agro-turistiche, nella gestione dei circuiti illegali delle importazioni/esportazioni di prodotti agroalimentari sottratti alle indicazioni sull’origine e sulla tracciabilità non curandosi delle gravi conseguenze per la catena agroalimentare, per l’ambiente e la salute. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare le importanti operazioni condotte dalle forze dell’ordine in queste settimane. E per alzare il livello di attenzione verso le “agromafie”, ha costituito l’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura, presieduto dal presidente Roberto Moncalvo e diretto da Giancarlo Caselli alla guida del comitato scientifico, che presenta annualmente con l’Eurispes il Rapporto Agromafie.

CRIMINALITÀ E FONDI UE – Dopo la droga, il contrabbando, il controllo della prostituzione, gli appalti, ora gli affari delle mafie campane, siciliane e calabresi si spostano sul mercato alimentare, uno dei più grossi affari in Italia ed Europa. Vogliono insomma sedersi a tavola e mettere le mani nei nostri cibi. Il Nac (Nucleo Antifrodi dei Carabinieri) ha calcolato che il 70% dei fondi europei destinati alla produzione e distribuzione di cibi sono irregolari, nonostante i controlli messi in atto dall’Unione Europea per contrastare le infiltrazioni criminali. Risultano fondi donati a società fantasma, fabbriche e società intestate a compiacenti prestanome, cifre e registri contabili alterati. Per non parlare dei fondi Ocm per le aziende agricole vitivinicole che poi sono milionate di euro che vanno a cooperative commerciali e a industrie. Per evitare sospetti, le mafie (o i loro prestanome) richiedono una serie di «piccoli» contributi europei, una sorta di «parcellizzazione», che non superano i 150mila euro ciascuno, cifra oltre la quale scatta l’allarme delle autorità di controllo. Tra gli enti coinvolti (consapevolmente o meno) ci sono il Fondo Europeo Agricolo di Garanzia e il Fondo di sviluppo rurale.  C’è poi la contraffazione, che investe tutto lo Stivale senza eccezioni: prodotti Dop e Doc abilmente contraffatti, che con il loro ingresso sul mercato fanno ovviamente lievitare i prezzi dei prodotti, fino al 200%. Anche negli impianti produttivi si trova spesso la mano nera della mafia.

RISTORAZIONE NEL MIRINO  Secondo Maurizio Delli Santi, comandante dei Nac, la mafia punta ora a «ripulire» il denaro sporco reinvestendolo in ristoranti di alto profilo. Così a Palermo è stata sequestrata un’intera catena di ristoranti riconducibile ad Angelo Mannino, già in precedenza arrestato per mafia, e la stessa cosa è successa a Roma dove i carabinieri hanno di recente sequestrato una catena di pizzerie. Senza parlare poi della mozzarella di bufala prodotta nel casertano, terra già di suo molto esposta alle infiltrazioni camorristiche a molti produttori di mozzarella, accusati di traffici illeciti e riciclaggio di denaro di dubbia provenienza. Anche alcune catene di supermercati nel centro e nel sud Italia sono controllati dalla mafia in modo diretto o indiretto. La mafia, con imprese private di pulizie e di sicurezza, è entrata anche in numerose industrie che pagano in questo modo un pizzo legalizzato e fatturato.

PIZZO LEGALIZZATO   Anche il piccolo dettaglio non paga più il pizzo come una volta. Spesso viene richiesto di pagare solo la luce e dedicare uno spazio a macchine vending e giochi e passa l’addetto per ritirare i soldi e fare il rifornimento dei prodotti venduti. L’abolizione dei voucher alimenterà ulteriormente il mercato nero in vari campi, da quello agricolo a quello commerciale e dei servizi. Anche gli studi di settore si stanno rilevando un boomerang per un barista o un ristoratore. La crisi dei consumi significa mancati incassi e non riescono a far fronte al pagamento delle tasse. La strada che percorrono in molti è quella di fornirsi in nero da torrefattori locali di caffè oppure, come sta avvenendo, ritornare a comprare i sacchi di caffè crudo e tostarlo nel locale dove viene servito il caffè. Un altro modo per evadere, visto che i sacchi si possono acquistare senza fattura. Insomma se le regole non sono uguali per tutti e se non vengono applicate e soprattutto se non si abbassano le tasse sul lavoro e sulle attività, si incentivano le scorciatoie per andare avanti prima di abbassare le saracinesche o portare i libri in tribunale per un’impresa. Con gravi danni per l’intera economia, imprenditori e collaboratori compresi.

Paolo Dalcò

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