Coca Cola Hbc Italia disinveste e rivede il modello distributivo

La filiale italiana ha avviato la procedura per 249 licenziamenti all’interno della forza vendita: si tratta di circa il 25% di tutti i dipendenti afferenti alla complessa funzione commerciale della società con sede in viale Monza a Milano
Coca Cola Hbc Italia disinveste e rivede il modello distributivo

Si profila un ritorno al passato per Coca-Cola Hbc Italia, la filiale nostrana del gruppo greco (ma con holding in Svizzera). La società sta pensando infatti di abbandonare il modello distributivo diretto, che aveva abbracciato anni fa, per tornare, almeno in una prima fase, a un modello misto che prevede il ritorno sulla scena anche dei grossisti. Questi ultimi erano stati tagliati fuori una decina di anni fa, quando la società aveva deciso di internalizzare tutte le leve commerciali e distributive, ma con il cambiamento della situazione economica degli ultimi anni c’è stato, evidentemente, un ripensamento delle strategie.

Il primo passo è stato la creazione di una forza vendite dedicata ai grossisti, che ha visto la luce ad inizio della primavera di quest’anno, ma la volontà di rivedere il modello distributivo è diventata manifesta con la decisione di metà luglio di procedere a 249 licenziamenti all’interno della forza vendita, che ha scatenato ovvie proteste anche perché giunta proprio quando la società aveva appena rinnovato l’integrativo aziendale . Si tratta infatti di circa il 25% di tutti i dipendenti afferenti alla complessa funzione commerciale della società con sede in viale Monza a Milano.

“L’apertura di questa procedura è un fulmine a ciel sereno – si legge in un comunicato sindacale congiunto Fai, Flai, Uila- che si è abbattuto sui dipendenti Coca Cola: lo stesso 16 luglio, alle quattro della mattina, le organizzazioni sindacali e la direzione societaria sottoscrivevano l’accordo integrativo di gruppo, in cui oltre ad un premio totale di circa 6000 euro per il periodo 2014-2016, si affermava che è intenzione dell’azienda consolidare l’occupazione nel nostro paese, ritenuto strategico dal gruppo”.

Le trattative sono adesso ad un punto di stallo, ed entro la fine di settembre sarà convocato un tavolo di concertazione presso il ministero del Lavoro e politiche sociali. Per quel giorno è previsto anche uno sciopero nazionale di tutti i lavoratori del gruppo.

La società non ha ancora specificato in quali zone d’Italia ci saranno gli eventuali tagli al personale, ma sembra che l’obiettivo sia quello di mantenere un presidio commerciale diretto nei cosiddetti 14 centri di eccellenza, individuabili nei maggiori centri urbani italiani, aprendo nel contempo ai grossisti sul territorio nelle aree dove si deciderà di avere una presenza più ‘leggera’ o totalmente indiretta.

La decisione di procedere a questo taglio è solo l’ultimo atto di un processo di disinvestimento delle attività italiane, che ultimamente ha visto la chiusura del sito di Campogalliano, in provincia di Modena, che segue quella del 2013 dello stabilimento produttivo di Gaglianico nel biellese e, nel 2012, del piccolo impianto di Cagliari. Non solo, la società ha provveduto anche alla esternalizzazione dei dipendenti dei servizi tecnici sul territorio, “ceduti” alla società Bev Service, e allo spostamento presso una consociata bulgara di Sofia di alcune funzioni amministrative.

“E’ il terzo anno consecutivo che Coca Cola decide di ridimensionare gli organici – dicono i sindacati -, una cura dimagrante che ha causato la perdita del posto di lavoro a più di 1000 dipendenti: nel giro di pochi anni si è passati da oltre 3000 dipendenti a poco più di 2000. Struttura produttiva, assistenza tecnica, sede amministrativa e ora struttura commerciale sono state fortemente ridimensionate, E’ evidente che Coca Cola non considera più strategico il nostro paese, o quanto meno non ritiene più opportuno reinvestire in termini occupazionali una parte di quegli utili che ogni anno l’Italia garantisce al Gruppo di Atlanta. Nel 2013, pur in presenza di una situazione di crisi, la divisione italiana ha generato ben 70 milioni di euro di utili”. Nel 2012 e nel 2011, complice anche l’ammortamento di costi relativi all’acquisizione di Socib, la società aveva perso complessivamente più di 80 milioni di euro, a livello di perdita netta.

 

di Alfredo Faieta

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