Frutti di bosco sottozero, i rischi penali connessi all’epatite A

Frutti di bosco sottozero, i rischi penali connessi all’epatite A

Dopo un primo allarme nel maggio 2013 per la presenza di epatite A in frutti di bosco surgelati e/o congelati, il ministero della Salute ha disposto un’intensificazione dei controlli, con l’istituzione di una task force composta da esperti dello stesso ministero, dell’Istituto superiore di sanità e dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna – centro di riferimento a livello nazionale dei rischi emergenti in sicurezza alimentare – al fine d’individuare la possibile fonte di contaminazione, confermare le ipotesi di sospetta correlazione con il consumo di frutti di bosco surgelati e adottare le migliori strategie integrate di controllo.
Fin dal primo momento, i due punti critici da valutare sono stati individuati nel campionamento e nell’analisi dei prodotti, poiché il ministero dava atto che un risultato di laboratorio negativo sul prodotto potrebbe non essere del tutto affidabile, considerato che “eventuali risultati negativi potrebbero essere influenzati da due ordini di fattori:
– le modalità di composizione dei lotti di prodotti di origine vegetale non sempre garantiscono che questi corrispondano effettivamente a un’unica provenienza/produttore;
– i virus possono contaminare i vegetali in modo discontinuo ed essere presenti su tali prodotti anche in concentrazioni estremamente limitate, tuttavia in grado di indurre malattia nell’uomo”.
Il ministero ha quindi dettato specifiche disposizioni per il prelievo dei campioni ambientali e alimentari da effettuare nel corso delle attività di autocontrollo, richiedendo che nel manuale Haccp venissero inseriti specifici protocolli di controllo.
In relazione agli aspetti di controllo analitico, il ministero aveva disposto che durante l’emergenza i laboratori coinvolti nel controllo ufficiale adottassero la metodica validata dall’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna.
Parallelamente l’Istituto superiore di sanità è stato incaricato di portare a termine la validazione primaria della metodica ISO/TS 15216-2, che prevede la determinazione dei virus dell’epatite A e dei norovirus, genogruppo I e genogruppo II, per le matrici di origine vegetale, in particolare frutti di bosco e vegetali a foglia larga.
Tale metodica è stata accreditata lo scorso 14 ottobre.
In questa difficile situazione, dovuta sia alle evidenze analitiche non sempre concordanti, sia ai complessi protocolli di entrata del prodotto in Comunità europea, si è inserito anche il lavoro delle Procure della Repubblica, che sono state chiamate a valutare se nei comportamenti degli importatori, produttori, utilizzatori, commercianti dei prodotti incriminati potessero essere riconosciuti elementi penalmente rilevanti.
I reati astrattamente configurabili sono sia di natura delittuosa che di natura contravvenzionale. Occorre in primis richiamare il “commercio di sostanze alimentari nocive”, delitto previsto dall’art. 444 c.p. (Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione non contraffatte né adulterate ma pericolose alla salute pubblica è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 51).
Si potrebbe poi contestare la sussistenza del reato previsto dall’art. 5 della legge speciale 283/1962, presidio delle non conformità in materia alimentare. Tale reato prevede, per quanto d’interesse in questa sede, che “è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:
c) con cariche microbiche superiori ai limiti;
d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato d’alterazione”.
La sanzione è prevista dal successivo art. 6: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, i contravventori alle disposizioni del presente articolo e dell’articolo 5 sono puniti con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da euro 309 a euro 30.987. Per la violazione delle disposizioni di cui alle lettere d) e h) dell’articolo 5 si applica la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o dell’ammenda da euro 2.582 a euro 46.481”.
Se dal consumo del prodotto fosse derivata una malattia nel consumatore, sarebbe poi configurabile il reato di lesioni personali ex art. 590 c.p. (“chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309,00. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 129,00 a euro 619,00; se è gravissima della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309,00 a 1.239,00”).
In relazione ai comportamenti penalmente rilevanti, occorrerà poi valutare il grado della colpa realmente sussistente, considerate anche le difficoltà di riscontro analitico dell’epatite A, come sopra rappresentate.

Avv. Gaetano Forte
www.avvocatogaetanoforte.it

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