Mc Donald’s, rivoluzione menù negli Usa

I risultati in calo impongono alla società un cambiamento: maggiore freschezza e ritorno a menù più semplici. Ma fine di un’offerta standardizzata in tutto il Paese
Mc Donald’s, rivoluzione menù negli Usa

Ammosciata come le sue celebri chips quando non sono più calde e croccanti. Guardando agli ultimi risultati di McDonald’s è questa la prima immagine che arriva della grande corporation dell’Illinois. Un gruppo che sta lentamente – e neppur così tanto – ripiegandosi su se stesso, pur restando sempre il primo attore mondiale della categoria. Nel mese di novembre le vendite negli Usa sono scese, a parità di rete, del 4,6% negli Usa, del 2% in Europa (pesa la situazione in Russia e Ucraina) e del 4% in Asia, Medio Oriente e Africa, macroregione dove hanno pesato i ponderosi scandali cinesi sulla carne avariata. Cali di entità minore si erano visti anche a ottobre e anche nel terzo trimestre dell’anno i conti erano in peggioramento. Che qualcosa iniziasse a incepparsi se n’erano già accorti gli investitori di borsa, molto tiepidi con i titoli negli ultimi mesi nonostante i listini americani fossero ancora in una fase rialzista. Al contrario per la società del celebre Big Mac da maggio in poi le cose sono andate male anche a Wall Street. A ottobre, proprio in occasione dei risultati trimestrali, il presidente e amministratore della società Don Thompson è uscito allo scoperto: “Riconosciamo di dover dimostrare ai nostri consumatori e all’intero sistema McDonald’s di aver compreso i problemi che stiamo attraversando e stiamo intraprendendo i necessari comportamenti per cambiare in profondità il nostro modo di fare business”.

Insomma, siccome nulla è per sempre, anche una tra la più consolidate formule commerciali del mondo merita di essere messa sotto esame e la dirigenza della società ha deciso di imbarcarsi in una revisione di rotta molto chiara. Il messaggio più importante è che catena di fast food non sarà più un monolite sempre uguale a se stesso, ma anche negli Stati Uniti (il mercato core) l’offerta varierà al variare delle aree di presenza, perché quel che funziona in una zona non è detto che debba farlo in una altra. Per molti potrebbe sembrare una evidenza lapalissiana, non per chi ha fondato il proprio successo mondiale sulla standardizzazione. Che vuol certamente dire abbattimento di costi e sicurezza per il consumatore di trovare in ogni angolo del mondo un preciso standard di offerta, ma che può essere superata da una più attenta analisi di geomarketing, come si preferisce chiamare adesso l’aderenza tra il territorio e prodotto.

In realtà la “rivoluzione” non è così semplice, perché per inseguire un consumatore sempre più trasversale Mc Donald’s negli ultimi anni aveva arricchito il proprio portafoglio prodotti. Una scelta che ha pagato ma che ha inserito una complessità non desiderabile per chi fa della parola “fast” (veloce) il proprio credo. Un’offerta più ampia ha provocato tempi di attesa più lunghi, con il risultato di scoraggiare qualche cliente, specialmente nei cosiddetti “drive through”, ovvero quei punti vendita dove la merce si ordina ritira direttamente dal finestrino dell’auto. Per questo motivo negli Usa saranno eliminati una serie di items, al fine di rendere più agile la lettura e preparazione del menù.

Il quale, e questa è un’altra grande novità, sarà più scarno di base ma si darà la possibilità al consumatore di poter comporre il proprio panino a piacimento, utilizzando le opzioni messe a disposizione. Non sarà possibile farlo in tutti i ristoranti, ma solo in 2mila sui 14mila della catena negli Usa. Quelli dove – e qui si torna alla scelta di differenziare l’offerta per aree – questa possibilità dovrebbe garantire benefici superiori ai costi ad essa legati (ad esempio tempi più lunghi di preparazione, molto sentiti come si è detto, o possibilità di errori nella composizione).

Su tutti questi cambiamenti, che partiranno dal mercato americano per poi forse estendersi al resto del mondo, ve n’è uno di portata generale, introdotto da una domanda retorica del neo presidente di Mc Donald’s Usa Mike Andres: “Perché abbiamo bisogno di avere i conservanti nel nostro cibo?”. La risposta è arrivata subito: per frenare la perdita di clientela che si rivolge a catene con un vissuto più salutistico la nuova esigenza sarà quella di semplificare gli ingredienti e fornirli più freschi per renderli più vicini a quel che cerca il consumatore attuale.

Di carne alla piastra ce n’è molta, e chissà quanto tempo ci vorrà per implementare tutte quelle novità. Chissà, inoltre, quante di queste arriveranno in Europa, e quindi anche in Italia. Ci vorrà sicuramente tempo, che in questo momento non gioca a favore del gruppo, come si evince dai dati del terzo trimestre dell’anno, chiuso con vendite in calo del 5% rispetto allo stesso trimestre del 2013 a quasi 7 miliardi di dollari e un profitto netto giù di un corposo 30% a 1 miliardo.

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