Carrello GDO con simbolo di lavoro in corso. Metafora per GDA in evoluzione.

La gdo? Chiamiamola “gda”

Carrello GDO con simbolo di lavoro in corso. Metafora per GDA in evoluzione.

Diverse persone mi chiedono come mai chiamo da molti anni “gda” il soggetto che in tanti – nella nostra business community – chiamano invece “gdo”. Il motivo è semplice: oggi la distribuzione è ancora divisa in due parti distinte: quella grande e quella piccola.
L’acronimo “distribuzione associata” è stato coniato, in realtà, nel 1996 da Riccardo Francioni, ad di Selex, perché organizzata (cosa vuol dire esattamente?) non serviva certo a identificare la distribuzione più piccola del nostro Paese. Da quel momento ho adottato volentieri “gda”, nonostante molti attori si ostinino a chiamare tutta la distribuzione “grande”: la parte più rilevante – è necessario ribadirlo – è ancora quella piccola, con risultati controversi sull’intero sistema.
Ecco perché. Nel 2004 per la prima volta dal 1961, anno della nascita del supermercato in Italia, le vendite a parità di mq sono diminuite del 2,3 per cento. Per altri sette anni il segno meno ha governato il sistema della gda, fino ad arrivare a -2,1% nel 2010.
Il discount nel frattempo si è confermato come la tipologia di vendita che è cresciuta maggiormente in Italia: i pdv erano 2.563 nel 2001, sono diventati 4.361 nel 2010 con una crescita del 70 per cento. I primi tre gruppi, dice Nielsen, rappresentano il 33% delle vendite che, paragonate ad altri Paesi, fanno intravvedere il nostro nanismo (60% in Gran Bretagna, 58% in Germania, 55% in Spagna e Francia).
Se vogliamo analizzare la stessa situazione da un’altra angolatura basta constatare come le store brand da noi pesino sulle vendite totali per il 15,6% (48,2% in Gran Bretagna, 33,4% in Spagna) e stentino a dare il loro contributo alla differenziazione dei formati commerciali.
Se analizziamo le politiche di pricing e prendiamo la piazza più importante, Milano, ci accorgiamo come la forchetta di prezzo fra l’insegna più (Billa) e quella meno cara (U2) segni addirittura una forbice di 13 punti. Siete ancora sicuri che “piccolo è bello”? O si può far qualcosa per far crescere il sistema gda-idm?
Symphony-Iri dice che i punti decisionali in Italia, dove si dirimono i rapporti idm-gda, sono 300. Nel 1987 erano 502: la diminuzione è palese. A 300 punti decisionali corrispondono, più o meno, 300 centri di distribuzione/magazzini. Sono tanti, non è vero? Le aziende hanno necessità di ridurre i costi e per farlo agiscono su diverse leve: quella del personale dei punti di vendita è la più delicata. Ma forse converrebbe, semmai, concentrarsi sul sistema logistico che ha, come detto, un numero elevato di Cedi-magazzini.
La stragrande maggioranza sono della distribuzione associata e, a volte, distano fra loro pochi chilometri. Per molti imprenditori, il magazzino è il cuore vero delle aziende, il luogo dove sono stati fatti investimenti notevoli.
Secondo alcune ricerche, il grado di utilizzo-riempimento razionale degli spazi, orizzontali e soprattutto verticali, oscilla fra il 60 e il 70%, con una copertura dei negozi di cinque giorni. La deflazione è dietro l’angolo e, paradossalmente, è proprio la riduzione dei costi a monte che può dare ossigeno ai conti economici delle imprese. Le imprese della distribuzione associata lo sanno bene, ma stentano a prendere decisioni incisive. Nelle conferenze stampa, quando viene posta questa domanda, l’imbarazzo è forte perché si sta intaccando con le parole l’autonomia imprenditoriale dei soci e i responsabili di centrale non possono di certo prendere impegni per loro, visto che sono i proprietari, di fatto, delle centrali stesse e dei consorzi-gruppi. La crisi e le trasformazioni che stiamo vivendo, comunque, prima o poi, costringeranno gli imprenditori ad affrontare questo nodo cruciale per l’intero sistema. Luigi Rubinelli*

Dal numero di Food di giugno, Luigi Rubinelli, giornalista ed esperto di retail, collabora al nostro mensile con la rubrica Fuori dal coro.

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