Caprotti-Pugliese, botta e risposta sul ‘Corriere della Sera’

Caprotti-Pugliese, botta e risposta sul ‘Corriere della Sera’

Due modelli d’impresa distributiva – entrambi di successo – a confronto sulle pagine di un grande quotidiano nazionale.
E anche un bell’esempio di botta e risposta tra due indiscussi protagonisti del retail italiano: Bernardo Caprotti, fondatore e dominus di Esselunga, e Francesco Pugliese, direttore generale di Conad.
L’11 e il 12 settembre scorsi il Corriere della Sera ha pubblicato due lettere di puntualizzazione: la prima – di Caprotti – sull’improprietà del confronto tra Esselunga e grandi gruppi multinazionali come Luxottica e Armani e sulle difficoltà del fare impresa di distribuzione nel contesto italiano, la seconda – di Pugliese – sulla definizione capziosa (e inspiegata) di ‘operatori politici’ con cui Caprotti si riferisce a Coop e Conad.

LETTERA DI BERNARDO CAPROTTI – ESSELUNGA SUL CORRIERE DELLA SERA 11/9/2013

Caro direttore,
ho letto il bell’articolo del professor Ricardo Franco Levi sul Suo giornale dell’8 settembre. Non posso che ringraziarvi per le lusinghiere espressioni usate nei riguardi di Esselunga e del sottoscritto. Tuttavia vorrei permettermi un’osservazione.
Le tre aziende scelte dall’autore non costituiscono un campione appropriato. Mettere Esselunga – e dunque me – accanto ad Armani e Luxottica è azzardato. Meglio sarebbe stato scegliere Ferrero.
Esselunga è una piccola azienda, piccolissima nel suo settore, è solo una multiprovinciale, non ha un centesimo di attività fuori dai confini nazionali. Ove Luxottica, coi suoi centri di produzione in Cina, i suoi 6.000 negozi sparsi nel mondo è un gigante vicino al quale noi non possiamo stare. Del pari Armani, che è un genio a livello mondiale, con investimenti grandiosi anche fuori dal suo campo d’origine. Noi dunque siamo un’azienda di qui, una multiprovinciale che neppure riesce ad insediarsi a Genova o a Modena, per non dire di Roma ove io poco, ma i nostri urbanisti si sono recati forse 2.000 volte in dodici anni nel tentativo di superare ostacoli di ogni genere, per incontrare adesso il niet del nuovo sindaco del quale si può dire soltanto che è un po’ «opinionated».

Noi, diversamente da Luxottica, Ferrero, Pirelli, Squinzi, Bombassei, Calzedonia, siamo un’impresa al 100% italiana (Pirelli, credo, italiana al 17%). E come tale un’impresa che deve difendersi dalla Pa (pubblica amministrazione) in tutte le sue forme e a tutti i suoi fantasiosi livelli ogni giorno che Dio comanda. Tassata al 60%, non più minimamente libera di scegliersi i collaboratori (la signora Fornero ha «garantito» anche i soggetti assunti in prova), Esselunga si trascina. Porta ancora avanti vecchi progetti, cose nelle quali, incredibile dictu, si era impegnata ancora al tempo delle lire.

Per realizzare un punto vendita occorrono mediamente da otto a quattordici anni. Ma per Legnano ventiquattro; mentre a Firenze forse apriremo l’anno prossimo un Esselunga di là d’Arno, una iniziativa partita nel 1970! Così, ultimamente, abbiamo cancellato ogni nuovo progetto. Ecco, caro direttore, la pallida risposta di un’azienda che di problemi ne ha troppi, che si avventura ogni giorno in una giungla di norme, regole, controlli, ingiunzioni, termini, divieti che cambiano continuamente col cambiare delle leggi, dei funzionari, dei potenti. Uno slalom gigante con le porte che vengono spostate mentre scendi. Un’azienda affondata nelle sabbie mobili italiane. Oberata da un esiziale carico fiscale atto solo a sostenere tutto ciò che nel paese è sovvenzionato. Cioè quasi tutto. Diversamente da Armani e Luxottica che hanno «creato», noi abbiamo soltanto cercato di dare un po’ di eleganza, di efficienza, di carattere ad un mestiere assai umile. A livello internazionale ciò ci è riconosciuto. Ma nel paese non siamo ben accolti.

E per soprammercato facciamo un mestiere che nel nostro stranissimo paese è politico. Perché? Perché sono «politici» i due più grandi operatori nazionali. Fuori non riescono neppure a capirlo. Ma sono tante le cose che gli stranieri non possono capire di noi, di un paese che se fosse rimasto libero e normale avrebbe potuto andare chissà dove. Imprenditori straordinari fecero nel dopoguerra aziende straordinarie. Ma gli imprenditori sarebbero poi diventati tutti incapaci, a meno che non se ne fossero andati ad operare altrove. Ma noi non possiamo. Peccato non si possa dire: «hic manebimus optime». Bernardo Caprotti

LETTERA DI FRANCESCO PUGLIESE, DG CONAD, SUL CORRIERE DELLA SERA 11/9/2013

La lettera del dottor Caprotti (Corriere di giovedì) mi porta ad alcune considerazioni. La Costituzione Italiana garantisce la liberta d’impresa. È per questo che in Italia esistono tante imprese che competono nel mercato e creano le condizioni per poter crescere e svilupparsi. Se il dottor Caprotti sostiene che ci siano imprese «politiche», come definisce i due più grandi operatori nazionali della grande distribuzione, sarebbe stato lecito attendersi da lui che avesse detto anche in quali aspetti riconosceva questa sua affermazione. Purtroppo, non ce ne ha resi partecipi.

Credo che mancare gli obiettivi prefissati sia un problema più di natura imprenditoriale che politico. E ciò vale per ogni imprenditore del mercato. Lo sappiamo: in certi ambiti si può crescere, in altri meno, in altri ancora non è possibile, per lui come per noi. Egli, però, punta il dito esclusivamente contro un «clima politico» che lo ostacolerebbe da decenni, senza rendersi forse conto che in fondo è un alibi per lui che ha visto nascere e finanziato proprio una compagine politica.

Caro dottor Caprotti, Conad è un soggetto imprenditoriale fatto di tremila soci imprenditori di piccole dimensioni, legati tenacemente al territorio in cui operano, che si sono dati un’organizzazione cooperativa. È, soprattutto, un modello societario che dà risposta ai bisogni di sviluppo imprenditoriale dei propri soci. Un modello che dovrebbe essere sviluppato in tanti mercati, perché da risposte alla crisi, perché re-investe gli utili nello sviluppo dell’attività imprenditoriale dei soci. Di «imprenditori straordinari» ce ne sono ancora oggi e lo stesso Caprotti ne è un esempio: «piccoli» imprenditori che, meno interessati alla finanza e a vendere all’estero, sono l’anima di quel tessuto economico dell’Italia tutta che andrebbe salvaguardato e aiutato per poter portare il Paese fuori dalle sabbie mobili della crisi. Francesco Pugliese

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