
I dazi al 30% annunciati dal presidente Usa Donald Trump sui prodotti europei potrebbero costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro. È quanto emerge da una stima Coldiretti, effettuata sulla base dell’impatto per le filiere nazionali già sperimentato in occasione delle tariffe aggiuntive imposte da Trump nel suo primo mandato, che aveva portato ad un calo delle vendite a doppia cifra per i prodotti colpiti.
L’impatto in termini di prezzi maggiorati per i consumatori americani si tradurrebbe inevitabilmente in ricadute anche sulle aziende italiane, vista la richiesta di sconti da parte degli importatori riscontrata nelle scorse settimane. La diminuzione dei consumi porta inevitabilmente a prodotto invenduto per le imprese tricolori, costrette a dover cercare nuovi mercati. Il tutto senza dimenticare il pericolo contraffazioni, con gli Stati Uniti primo produttore mondiale di falso cibo Made in Italy. Al danno immediato in termini di un probabile calo delle esportazioni andrebbe ad aggiungersi quello causato dalla mancata crescita: il cibo Made in Italy negli Usa quest’anno puntava a superare il traguardo dei nove miliardi di euro, dopo aver raggiunto lo scorso anno il valore record di 7,8 miliardi (fonte: analisi Coldiretti su dati Istat).
A pesare è anche il fatto che le nuove tariffe aggiuntive, la cui partenza è prevista il primo agosto prossimo, andrebbero a sommarsi a quelle già esistenti, penalizzando in particolar modo alcune filiere cardine a partire da quelle già sottoposte a dazio. Con il dazio al 30%, le tariffe aggiuntive per alcuni prodotti simbolo del Made in Italy arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini, al 42% per il pomodoro trasformato, al 36% per la pasta farcita e al 42% per marmellate e confetture omogeneizzate, secondo una proiezione Coldiretti.
“Imporre dazi al 30% sui prodotti agroalimentari europei – e quindi italiani – sarebbe un colpo durissimo all’economia reale, alle imprese agricole che lavorano ogni giorno per portare qualità e identità nel mondo, ma anche ai consumatori americani, che verrebbero privati di prodotti autentici o costretti a pagarli molto di più oltre ad alimentare il fenomeno dell’italian sounding”, afferma il Presidente di Coldiretti Ettore Prandini.
La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha commentato: “Siamo sempre stati molto chiari sul fatto di preferire una soluzione negoziata. Questo rimane valido e utilizzeremo il tempo che abbiamo fino alla scadenza. Possiamo rispondere con contromisure se necessario. Estenderemo la sospensione delle nostre contromisure fino all’inizio di agosto e, nel frattempo, continueremo a predisporre ulteriori contromisure per essere pienamente preparati”.
L’ALLARME DELL’INDUSTRIA F&B ITALIANA: ITALIA DEL GUSTO
Il Consorzio Italia del Gusto parla di “una misura di fatto punitiva e strategicamente miope”. I dazi, aggravati dalla svalutazione del dollaro, rischiano di “compromettere l’accesso al mercato statunitense e tradursi in aumenti significativi dei prezzi per i consumatori americani”. “Non è in discussione solo l’export italiano – rimarca il Consorzio – ma un equilibrio economico che ha prodotto valore concreto su entrambe le sponde dell’Atlantico. I nostri prodotti sono parte integrante di una filiera americana che va dalla logistica alla distribuzione, dalla ristorazione alla cultura alimentare. Rompere questa catena significa danneggiare anche l’economia statunitense”.
Secondo il Consorzio, gli effetti rischiano di essere amplificati dal contesto macroeconomico: ai dazi si aggiungono i riflessi negativi del cambio e le tensioni sui costi. Per alcuni segmenti chiave i rincari al consumo potrebbero superare il 40%, con un rallentamento della domanda e una corsa al ribasso nei canali distributivi: margini ridotti, sostituzione del prodotto originale, diffusione di imitazioni di bassa qualità. A pagarne il prezzo sarebbe l’intero sistema, non solo l’Italia.
Italia del Gusto chiede che l’Unione Europea agisca con compattezza, “puntando su un’azione diplomatica solida e su una strategia industriale lucida. Serve una voce autorevole che tuteli le filiere strategiche con realismo e competenza. Il Made in Italy ha costruito la sua forza grazie a trasparenza, innovazione e affidabilità: è questa la postura da difendere”.
CIA CONFAGRICOLTURA: IL 30% È IRRICEVIBILE
“I dazi al 30% minacciati da Trump sono una proposta irricevibile. L’Europa sia unita e non arrresti il negoziato. Bisogna scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, che sarebbe catastrofica per tutto il settore agroalimentare”. Così il Presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, commenta l’annuncio dei dazi al 30% da parte di Trump.
Chianti e Amarone, Barbera, Friulano e Ribolla, Pecorino Romano, Prosecco. Nella guerra commerciale che rischia di aprirsi con l’arrivo dei dazi ci sono prodotti tricolori in pericolo molto più degli altri, perché tanto dipendenti dall’export verso gli Stati Uniti. È quanto emerge dall’analisi di Cia-Agricoltori Italiani, sulla base dei dati di Nomisma e dell’Ufficio studi confederale.
“Serve un’azione diplomatica forte per trovare una soluzione e non compromettere i traguardi raggiunti finora – sottolinea Fini – l’export agroalimentare negli Usa è cresciuto del 158% in dieci anni e oggi gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento mondiale per cibo e vino Made in Italy, con 7,8 miliardi di euro messi a segno nel 2024. L’Italia può e deve essere capofila in Europa nell’apertura di un negoziato con Trump, visto che abbiamo anche più da perdere. Gli Usa, infatti, valgono quasi il 12% di tutto il nostro export agroalimentare globale, mettendoci in testa alla classifica dei paesi Ue, molto prima di Germania (2,5%), Spagna (4,7%) e Francia (6,7%)”.
Guardando ai prodotti Made in Italy che trovano negli Stati Uniti il principale sbocco, in termini di incidenza percentuale sulle vendite oltre frontiera, preoccupa la situazione del Pecorino Romano (prodotto al 90% in Sardegna), il cui export negli Usa vale il 57% di quello complessivo (quasi 151 milioni di euro). Ma con i dazi al 25%, il florido settore americano di chips e snack (2,5 miliardi) potrebbe sostituire il Pecorino nostrano con altri prodotti caseari più convenienti. Discorso a parte sul vino italiano, per il quale gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro fatturati nel 2024, ma con esposizioni più forti di altre a seconda delle bottiglie. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono infatti i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). Grandi numeri che i dazi possono scombinare, lasciando strada libera ai competitor: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno. Anche per l’olio d’oliva italiano gli Stati Uniti hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export (937 milioni di euro nel 2024), ma meno sostituibile nella spesa degli americani, e così a scendere per i liquori (26%, 143 milioni). Meno esposti al mercato Usa risultano invece Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che pesa per il 17% del valore dell’export congiunto di questi due formaggi (253 milioni), così come pasta e prodotti da forno (13%, 1,1 miliardi).