
Una bellissima serata estiva. Un gruppo di amici e amiche al ristorante a festeggiare la vita. E per chiudere la cena con un tocco di freschezza, ecco finalmente la frutta. C’è la pesca. Va bene, quindi, una pesca per tutti? Oppure: stasera per voi c’è la mela. Guardate che è di marca, è buona, è sana… Ma dai, che tristezza!
Per decenni, la distribuzione moderna organizzata (Dmo) ha operato seguendo un principio semplice: l’uniformità. L’insegna unica era garanzia di riconoscibilità, affidabilità e scala. La pubblicità televisiva amplificava questa identità, parlando a milioni di consumatori in modo indifferenziato. Ma oggi è evidente che quel modello mostra i suoi limiti. Il contesto è profondamente cambiato. Il Cliente (con la “c” maiuscola) vuole essere riconosciuto, ascoltato, coinvolto. La personalizzazione non è più un’opzione, ma un requisito.
STRATEGIE MULTIBRAND E IDENTITÀ LOCALE
E quindi, viva i campanili: occorre prendere atto che viviamo in un’Italia dove le abitudini di consumo variano da provincia a provincia, dove la cultura alimentare è locale, radicata, irriducibile. E dove il cliente premia chi sa raccontargli una storia che sente sua. In questo scenario, la pluralità di insegne (a patto che sia ben orchestrata) non è un problema, ma un vantaggio competitivo. Il caso del Gruppo VéGé è emblematico: decine di insegne territoriali sotto un’unica regia. Ha trasformato una struttura cooperativa in un modello di eccellenza. Ogni insegna locale mantiene la propria identità, comunica con il proprio pubblico e si radica nel territorio, beneficiando al contempo della forza, degli strumenti e della visione strategica di un grande gruppo. È un modello federativo moderno, dove la coerenza si misura nella visione condivisa, non nella ripetizione di un brand.
Ma VéGé non è il solo esempio virtuoso. Anche Selex, oggi primo gruppo distributivo italiano per quota di mercato, adotta con successo una strategia multibrand: Famila, A&O, Emisfero, C+C e molte altre insegne locali operano con autonomia di comunicazione e assortimento. La prossimità è il loro punto di forza. Ogni insegna dialoga con il proprio territorio, valorizza le filiere corte, adatta promozioni e messaggi a consumatori reali, non a pubblici astratti.
Questi modelli dimostrano che la diversità non significa confusione, ma può generare relazioni autentiche e durature con i clienti. Oggi più che mai la tecnologia è la chiave per rendere questa pluralità coerente ed efficace. Crm evoluti, social media, newsletter profilate, campagne geolocalizzate, app di fidelizzazione: strumenti per comunicare “ad personam”, offrendo messaggi rilevanti, contestuali, vicini. Così un punto vendita Famila in Veneto può raccontare i caseifici locali su Instagram. Un supermercato Decò in Sicilia può lanciare una campagna TikTok sui sapori della tradizione. IperTosano a Calenzano può promuovere il biologico regionale su Facebook. La comunicazione è sempre meno broadcasting. Conta costruire relazioni dinamiche, differenziate, continue. Non è più fondamentale che il cliente di Potenza conosca i valori del Bennet: è essenziale che, dove Bennet è presente, quei valori siano percepiti e condivisi. L’uniformità potrebbe non essere più sinonimo di fiducia. Anzi: rischia di apparire generica, impersonale.
IL FUTURO DEL RETAIL
In un’epoca in cui il cliente premia l’attenzione e l’ascolto, la vera forza di un gruppo sta nella capacità di costruire un’identità diffusa, plurale, coerente. Le insegne che sapranno unire personalizzazione e tecnologia, prossimità e visione strategica, saranno quelle capaci di generare valore nel tempo. Il futuro del retail in Italia, probabilmente, non sarà dominato da un unico marchio nazionale, ma da reti intelligenti di insegne locali: sostenute da infrastrutture condivise, marketing data driven e comunicazione su misura.
Forse solo i discount si sottraggono a questa logica. Per loro l’omologazione è un punto di forza, e le economie di scala (spesso guidate dall’estero) la regola. Ma, alla fine, al cliente del paesino campano come della metropoli milanese non interessa sapere che 60 milioni di italiani conoscono una certa insegna. Gli interessa solo che, nel suo punto vendita di fiducia, il gastronomo lo riconosca, gli consigli una nuova ricetta e, con i prodotti, gli offra anche un abbraccio simbolico: segno di gratitudine e appartenenza alla piccola grande comunità locale.