
Il tradizionale acquisto di ortofrutta al mercato, un tempo punto di riferimento per gli italiani, è stato in gran parte soppiantato dal supermercato. È quanto emerge da una ricerca condotta da EngageMinds Hub – Consumer, Food & Health Research Center dell’Università Cattolica, che ha analizzato i consumi alimentari in Italia.
Quasi otto italiani su 10 acquistano frutta e verdura al supermercato almeno una volta a settimana, e tre su 10 lo fanno con una frequenza ancora maggiore, tre-quattro volte a settimana. I canali più tradizionali, come il mercato locale e il fruttivendolo, registrano invece percentuali inferiori e un utilizzo più saltuario, con circa tre italiani su 10 che vi si rivolgono settimanalmente.
Altri canali rimangono di nicchia: quasi due italiani su 10 acquistano ortofrutta a chilometro zero ogni settimana, mentre la spesa online è ancora poco diffusa, con meno di un italiano su 10 che la utilizza regolarmente.
ORTOFRUTTA: PREFERENZE D’ACQUISTO E DIVARIO GENERAZIONALE
L’indagine evidenzia che la scelta del supermercato è intergenerazionale, senza particolari differenze tra giovani (18-35 anni), adulti (35-55 anni) e over 55. L’unico dato che differenzia le fasce d’età riguarda l’acquisto online, che è più frequente tra i giovani (7% vs 4% della media nazionale) e meno tra gli over 55 (2%).
Quando si tratta di scegliere ortofrutta, gli italiani considerano diversi fattori:
- La stagionalità è il criterio più importante per l’85% del campione;
- La provenienza e le proprietà nutrizionali sono fondamentali per il 78%;
- L’utilizzo in cucina è rilevante per il 75%.
Meno centrali, ma comunque degni di nota, sono il metodo di coltivazione (60%) e il packaging (43%).
SOSTENIBILITÀ: BUONE INTENZIONI, POCHI SACRIFICI
Il report ha anche esaminato le intenzioni degli italiani verso comportamenti alimentari sostenibili, mostrando un divario tra le dichiarazioni e le azioni concrete.
- Il 76% degli italiani si dichiara intenzionato a ridurre lo spreco di cibo a casa;
- Il 70% è orientato all’acquisto di prodotti di stagione.
Solo un terzo del campione è disposto a compiere sacrifici economici: il 35% spenderebbe di più per alimenti con un prezzo equo per gli agricoltori, il 34% accetterebbe cibi a base vegetale anche se non graditi e il 30% pagherebbe un prezzo più alto per un’alimentazione sostenibile.
A sorpresa, i giovani (18-35 anni) risultano meno propensi a queste pratiche rispetto alla media nazionale, con una minore attenzione verso lo spreco alimentare (65% vs 76%), l’acquisto di prodotti di stagione (55% vs 70%) e il supporto agli agricoltori (28% vs 35%).
Come spiega la relatrice Guendalina Graffigna, Direttrice di EngageMinds Hub: “Se da un lato la maggioranza degli italiani dichiara buone intenzioni verso pratiche sostenibili, dall’altro emergono forti resistenze quando la sostenibilità implica un sacrificio economico o di gusto. I giovani appaiono meno propensi ad adottare comportamenti virtuosi, una dinamica che può essere letta alla luce di fattori economici, come una minore disponibilità di risorse, ma anche di stili di vita più flessibili e meno strutturati“.
REATTANZA E CENTRALITÀ EMOTIVA DEL CIBO
Il report si è focalizzato anche sul rapporto che gli italiani hanno con il tema della sostenibilità alimentare, evidenziando una reazione di “reattanza” in quasi metà del campione (46%), che non accetta che gli venga detto cosa mangiare.
Il 33% del campione si dichiara attento all’impatto ambientale delle proprie abitudini, ma solo il 26% ha effettivamente modificato il proprio comportamento. Un dato interessante riguarda il ruolo emotivo del cibo, che influenza anche la percezione della sostenibilità.
“Chi cerca approvazione nel consumare alimenti tende ad accettare più facilmente restrizioni e riconosce più spesso l’impatto ambientale delle proprie scelte“, sottolinea Graffigna. “Gli ‘espressivi’, ovvero coloro che utilizzano il cibo come espressione di sé, sono più attenti e responsabili a ciò che consumano perché vedono nelle proprie scelte alimentari un riflesso della propria identità e dei propri valori. Chi vive invece il cibo come strumento relazionale mostra una minore consapevolezza dei suoi effetti sul pianeta“.