Illustrazione cibo: persona su banana circondata da frutta, verdura e altri alimenti. Costo nascosto del cibo.

Cover story – Il costo nascosto

Uno studio di Up2you commissionato da Gruppo Food evidenzia come il prezzo a scaffale di un prodotto non rifletta tutti i costi delle filiere agroalimentari. Una sfida, ma anche un'opportunità per chi saprà integrare la sostenibilità nel business
Illustrazione cibo: persona su banana circondata da frutta, verdura e altri alimenti. Costo nascosto del cibo.

I prezzi al pubblico che campeggiano sugli scaffali dei retailer rappresentano il frutto di una complessa interazione di fattori. Da un lato, ci sono i costi di produzione legati, in primis, a materie prime e manodopera; dall’altro, vanno considerate le spese generali, che rimandano a voci come affitto e marketing; infine, non si devono dimenticare l’incidenza di distribuzione e il margine di profitto. Ma in questo pur già ampio e articolato conteggio rischia di mancare una componente poco o per nulla valutata in modo diretto: l’impatto socio-ambientale generato dalle singole referenze sulla filiera e, più a largo spettro, sull’intera società e sul Pianeta.

Un costo nascosto che, a conti fatti, si rivela non certo risibile. A dare la misura del fenomeno è un’indagine condotta da Up2You e commissionata da Gruppo Food, basata sull’approccio del True Cost Accounting (Tca) di TEE- BAgriFood e sulle più recenti evidenze fornite da Fao, Unep Fi, Iea e altri organismi multilaterali. Un poderoso lavoro, presentato in anteprima lo scorso 16 settembre durante l’edizione 2025 del nostro Food Social Impact, che punta a quantificare il “debito ecologico e sociale” della produzione alimentare, accumulato sulle spalle delle comunità e delle generazioni future.

Sul piano operativo, l’analisi ha messo sotto la lente sette filiere agroalimentari rilevanti per il contesto italiano ed europeo (pasta, bakery, surgelati, conserve, ortofrutta, carne e salumi, latticini e formaggi), provando a monetizzare gli impatti negativi (cd esternalità negative) che queste esercitano su più piani. La valutazione che ne è derivata, parametrata sull’Indice di Impatto Socio-ambientale della Filiera Agroalimentare (ISFA) integra, infatti, metriche ambientali (emissioni Ghg, water footprint, utilizzo dei fertilizzanti, ecc.), sanitarie (tossicità legata all’utilizzo dei pesticidi, qualità nutrizionale dei prodotti, ecc.) e sociali (condizioni di lavoro, trasparenza ed etica, equità salariale, ecc.), consegnando la fotografia di uno scenario variegato e per nulla scontato.

LE FILIERE ANIMALI…

L’indagine aiuta a identificare gli ‘hot-spot’ migliorativi nelle varie filiere. La filiera lattiero-casearia, per esempio, viene analizzata prendendo come riferimento di prodotto rappresentativo del settore lo yogurt bianco: “L’applicazione dell’Indice ISFA – spiega Rebecca Cenzato, Senior sustainability consultant presso Up2You ha registrato un costo ‘nascosto’ di 2,61 euro/kg, pari al 65,36% del prezzo di vendita”.

Si segnala anche il divario tra il prezzo di mercato e il costo ‘reale’ legato al prosciutto cotto. “Qui – dice Cenzato – il valore economico delle esternalità negative si colloca intorno ai 4,50 euro/kg: un valore assoluto tra i più elevati, ma associato anche a una delle filiere più complesse ed energivore in analisi. Va ricordato che questo valore rappresenta una performance media della filiera, intersecando i dati ottenuti dai report e dagli studi su operatori più virtuosi e meno avanzati da un punto di vista di performance di sostenibilità. In questo caso, la variazione percentuale è molto più contenuta, grazie anche a un prezzo di partenza più elevato degli altri prodotti analizzati”. A incidere su questi risultati è la complessità che contraddistingue le filiere ‘lunghe’, come appunto quelle prese in esame, che devono fare i conti con articolate fasi di processo dei prodotti. Ma non solo.

Su questi comparti – fa notare Cenzato – contribuiscono aspetti come il benessere animale, non influente per filiere totalmente vegetali. E tra le principali voci di impatto troviamo e le emissioni di gas serra (Ghg), significativamente più alte in quanto tengono anche conto dei processi digestivi del bestiame e della produzione di mangimi. Un combinato disposto, che conferma come la zootecnia rappresenti un’area a maggiore intensità di impatto e per questo un campo di prova molto interessante per la sostenibilità, ricco di opportunità per innovare le pratiche più tradizionali”.


L’immagine di copertina è opera di Valentina Bongiovanni

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