Francesco Mutti, Presidente Centromarca, parla di competitività e tutela nel settore alimentare italiano.

Mutti (Centromarca): “L’Idm deve puntare su competitività, tutela e azioni di filiera”

Il presidente dell’Associazione indica la direttrice per affrontare un mercato del Largo consumo in forte trasformazione che, secondo NIQ, nel 2026 dovrebbe crescere a valore del +2,6%, in linea, dunque, con l’anno in corso
Francesco Mutti, Presidente Centromarca, parla di competitività e tutela nel settore alimentare italiano.

L’Industria di marca è solida, pur muovendosi in un mercato che resta instabile. Le previsioni di NIQ sull’andamento del Largo consumo nel 2026 parlano chiaro: i prossimi dodici mesi dovrebbero portare in dote un’espansione a valore del +2,6%, sostanzialmente in linea con l’anno in corso. Ma in questo scenario, secondo le elaborazioni del Centro Studi Centromarca, l’Idm promette di registrare una crescita di circa 2 punti percentuali, continuando a detenere una quota di mercato tra le più elevate in Europa pari al 68,1% nell’omnichannel (76,7% nei canali iper/super/libero servizio). La corazzata dei brand pare, dunque, essere ben attrezzata per affrontare le sfide che attendono il settore e più ad ampio spettro il Paese. A patto però che si lavori su tre fronti nevralgici, ancora scoperti.

“L’industria italiana – ha detto il Presidente Centromarca, Francesco Mutti nel corso del tradizionale incontro di fine anno con la stampa – deve innanzitutto farsi interprete di un rafforzamento della competitività del sistema. Competitività che, nel caso dell’alimentare made in Italy, passa per la valorizzazione dell’eccellenza, senza però dimenticare il vulnus dell’efficienza: nel nostro Paese la produttività fatica, infatti, a mantenere il ritmo rilevato oltreconfine. In secondo luogo, c’è il tema della tutela dei nostri prodotti, un passaggio imprescindibile per rendere le condizioni di competizione eque tra tutti gli attori in campo. Infine, va segnalata la necessità di muoverci in modo sinergico a livello di filiera per mettere a terra soluzioni utili a rafforzare il mercato. Un punto su cui Centromarca si è mossa nelle scorse settimane, insieme a numerose associazioni di categoria, presentando al Mimit proposte concrete, a costo zero, che mettono al centro la competitività delle aziende, la digitalizzazione dei processi, come la dematerializzazione dei documenti di trasporto, e il presidio della legalità lungo tutta la catena del valore”.

LO SCENARIO ITALIANO

Questa è dunque la tabella di marcia con cui l’Idm intende affrontare uno scenario macro-economico che mostra luci e ombre. Lo confermano recenti stime della Commissione Europea riportate dall’Area Studi di Mediobanca che accreditano il Pil italiano di una crescita dello 0,8% annuo nel biennio 2026 e 2027, sostenuta soprattutto dall’espansione della domanda domestica, a sua volta spinta da una crescita del reddito disponibile dovuta a una inflazione contenuta, tra le più basse dell’Eurozona, dall’aumento degli investimenti, per effetto del PNRR (in scadenza nel 2026) e della discesa dei tassi. Nel mercato nazionale resta, però, rilevante la questione salariale: la retribuzione oraria reale in 1H 2025 è, infatti, del 5% inferiore sul 2019, quando già veniva da anni di invarianza.

Le incertezze geopolitiche e il cambio penalizzano, invece, l’export: l’istituto bancario, infatti, prevede che le esportazioni nette offriranno un contributo negativo alla crescita del prossimo biennio.

IL PANORAMA INTERNAZIONALE

Lo senario globale, del resto, non fornisce troppe rassicurazioni. “L’indice di incertezza globale – osserva Gabriele Barbaresco, Direttore Area Studi Mediobancaresta simile a quello della pandemia nel 2020 e superiore a quello del 2018-19, quando Stati Uniti e Cina avevano introdotto dazi sugli scambi bilaterali. L’incertezza, economica e geopolitica, è quindi la vera variabile critica, più che non i dazi in sé”.

Più in dettaglio, l’istituto bancario prevede per gli Usa una progressione per il triennio 2025-2027 attorno al 2%, tutta derivante dalla domanda domestica, con deficit pubblico al 7,8% per il 2026 e 2027. Per la Cina, invece, è stimata una crescita tra il 4,8% quest’anno e il +4,4% del 2027, con il contributo decisivo delle esportazioni, che hanno sorpreso già nel 2025 con un +5,3% nei primi 10 mesi nonostante un calo del 17,7% verso gli Usa.

“Pechino – osserva Barbaresco – ha intrapreso un trend di upgrade del proprio export divenuto molto più simile a quelli europeo e giapponese, con l’obiettivo di rendere la propria tecnologia indispensabile per i partner commerciali, da individuare soprattutto nel Sud del pianeta (Africa e Sud-Est asiatico) che non si riconosce nella leadership americana. Restano, invece, rischi di debolezza sui consumi interni. Il Governo cinese ha agito con sussidi per stimolare la sostituzione dei beni, ma permane un clima di bassa fiducia testimoniato da uno dei tassi di risparmio più altri del mondo. Manca, insomma, un effetto di ricchezza stabile, minato dalla crisi del mercato immobiliare (-20% dal picco) e dalla deflazione (inflazione sotto l’1% nel 2026)”.

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