
L’industria alimentare e gli agricoltori italiani reagiscono alle misure commerciali appena annunciate dall’amministrazione Trump, tra richieste di sostegno al governo e alla Ue e inviti alla moderazione negoziale rispetto alle tentazioni di contromisure aggressive rispetto ai dazi Usa.
Tra i primi a commentare entità e possibili effetti dei dazi americani, il Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Nicola Bertinelli: “I dazi sul nostro prodotto passano dal 15% al 35%. Di certo la notizia non ci rende felici, ma il Parmigiano Reggiano è un prodotto premium e l’aumento del prezzo non porta automaticamente ad una riduzione dei consumi. Lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi ad un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i Parmesan americani. Ci rimboccheremo le maniche per sostenere la domanda in quello che è il nostro primo mercato estero con il 22,5% della quota export totale”.
Il Parmigiano Reggiano copre circa il 7% del mercato dei formaggi duri a stelle e strisce e viene venduto ad un prezzo più che doppio rispetto a quello dei Parmesan locali. “Noi non siamo affatto in concorrenza coi formaggi locali – sottolinea Bertinelli – si tratta di prodotti diversi che hanno posizionamento, standard di produzione, qualità e costi differenti: è pertanto assurdo colpire un prodotto di nicchia come il Parmigiano Reggiano per proteggere l’economia americana. Nel 2019, quando Trump introdusse tariffe aggiuntive pari al 25%, il Parmigiano Reggiano fu il prodotto più colpito con un incremento del prezzo a scaffale dai 40 ai 45 dollari al chilo. Fortunatamente i dazi sono poi stati sospesi il 6 marzo del 2021 e non ci hanno creato problemi in termini di vendite. Gli americani hanno continuato a sceglierci anche quando il prezzo è aumentato. Negli Stati Uniti chi compra il Parmigiano Reggiano fa una scelta consapevole: ha infatti un 93% di mercato di alternative che costano 2-3 volte meno. Imporre dazi su un prodotto come il nostro aumenta solo il prezzo per i consumatori americani, senza proteggere realmente i produttori locali. È una scelta che danneggia tutti”.
GRANA PADANO: I DAZI USA PREOCCUPANO
“Sta girando una tesi bizzarra che noi prodotti premium non avremmo impatti troppo negativi dai dazi così come decisi da Trump. Questo, almeno per il Grana Padano Dop, non è vero perché una fetta importante è venduta nel foodservice che risente molto di più, rispetto alla famiglia medio alta spendente americana, di rincari significativi dei prezzi dei prodotti inseriti nel loro paniere”. Con queste parole il Direttore generale del Consorzio, Stefano Berni, ha voluto stigmatizzare le teorie fatte circolare in questi giorni, che tendono a minimizzare l’impatto dei dazi sul Grana Padano.
“Noi del Grana Padano Dop ne abbiamo avuto inconfutabile prova quando, nel 2014, l’embargo russo post invasione in Crimea bloccò completamente le oltre 40.000 forme annuali che si stavano vendendo in Russia”, ricorda Berni. “Il danno allora venne quantificato a posteriori in quasi 100 milioni di euro, di cui 15 milioni circa per l’invenduto e 70/80 per l’abbassamento delle quotazioni di mercato di tutto il formaggio”.
Nella sua analisi, Berni rileva: “potremmo perdere a causa di questi dazi 35-40.000 forme negli Usa, con un danno diretto per l’invenduto di circa 25 milioni di euro ma con un danno indotto ancora più rilevante sul magazzino, attualmente caratterizzato di circa sei milioni di forme per un valore di circa 2,3 miliardi di euro. Per cui sarebbe sufficiente che il formaggio perdesse appena un 3% del suo valore (solo circa 30 cent al kg) per arrivare ad un danno indotto di 75 milioni di euro”.
Si stima quindi che questi dazi aggiuntivi del 20% potranno gravare sul sistema Grana Padano Dop per circa 100 milioni di euro nei primi 12 mesi di applicazione. Ovviamente se non si trattasse di prodotto a lunga stagionatura il danno indotto sarebbe assai più lieve. Infine, il Direttore generale sottolinea che “il sistema Grana Padano Dop, indipendentemente dall’avvento dei nuovi dazi, si sta già impegnando fuori dall’Italia, tant’è che nel 2024 il 51,2% della produzione è andata oltre confine. I paesi extra Usa, tuttavia, non rappresentano neppure l’8% del totale esportato”.
ORIGIN ITALIA E QUALIVITA: DAZI ALIMENTANO CONCORRENZA SLEALE
La guerra commerciale innescata dai dazi dell’amministrazione Trump rischia di avere effetti negativi non solo sull’economia, ma anche sulla tenuta sociale e sulla coesione dei territori rurali italiani. Ne sono convinte la fondazione Qualivita e l’associazione Origin Italia, secondo le quali “non si tratta solo di cifre: è a rischio un modello di sviluppo che, negli ultimi anni, ha permesso di rilanciare economie locali fragili attraverso la valorizzazione dei prodotti Dop e Igp”.
L’Osservatorio della Fondazione Qualivita ha documentato nel tempo “come le Indicazioni Geografiche abbiano consentito a numerosi territori di costruire un’economia solida e identitaria, capace di generare occupazione, presidiare il territorio e promuovere la sostenibilità ambientale e culturale. Tutto ciò è stato possibile grazie al valore aggiunto riconosciuto ai prodotti IG nei mercati internazionali, sia per le Dop italiane più conosciute, sia per quelle di dimensioni minori. Un valore non delocalizzabile, strettamente legato all’origine e alla cultura dei territori”.
Le barriere tariffarie, tuttavia, rappresentano un ostacolo significativo a questo percorso. Limitano l’accesso ai mercati globali, penalizzano le produzioni di qualità legate all’origine e favoriscono prodotti standardizzati o di imitazione realizzati in loco. Il danno si estende anche sul piano dei diritti: i dazi violano il principio della tutela della proprietà intellettuale riconosciuta a livello internazionale alle Indicazioni Geografiche, ostacolando il pieno esercizio di questo diritto da parte dei produttori legittimi. “La protezione delle IG deve essere garantita attraverso un commercio equo e privo di ostacoli ingiustificati, nel rispetto degli accordi internazionali”, affermano Origin Italia e Qualivita. Cesare Baldrighi, Presidente di Origin Italia, commenta: “Chiediamo un intervento urgente all’Europa e all’Italia affinché difendano con forza il sistema delle IG nelle sedi internazionali, per sostenere un comparto economico strategico e proteggere le 300.000 imprese italiane e i loro 900.000 occupati che aderiscono al sistema delle Dop e Igp in Italia”.
ITALMOPA: COLPITI DUE VOLTE
Anche Italmopa, Associazione industriali mugnai d’Italia, esprime profonda preoccupazione per la decisione assunta dall’amministrazione statunitense. “L’industria molitoria nazionale viene colpita sia direttamente con l’applicazione di dazi sulle nostre farine e semole esportate verso gli Stati Uniti, sia indirettamente in quanto tali dazi saranno comminati anche ad altri prodotti del Made in Italy alimentare – come la pasta alimentare o i prodotti della biscotteria e i lievitati – per i quali le farine e le semole risultano essere l’ingrediente principale”, sottolinea Andrea Valente, Presidente Italmopa. “Non possiamo che augurarci che a fronte del rischio di un’escalation della guerra commerciale alimentata da reciproche e crescenti ritorsioni – che potrebbero prossimamente riguardare anche le nostre importazioni di materia prima frumento della quale siamo strutturalmente deficitari – prevalga, da ambedue le parti, la volontà di privilegiare un approccio di natura negoziale”.
Nel 2024, le esportazioni italiane di farine e semole di frumento tenero e di frumento duro verso gli Stati Uniti hanno raggiunto le 46.500 tonnellate, con una crescita del +24% rispetto al 2023 e del +135% nell’arco dell’ultimo decennio, ponendo gli Stati Uniti ai vertici dei paesi extra UE destinatari degli sfarinati italiani.
ASSICA: A RISCHIO IL TERZO MERCATO PER I SALUMI ITALIANI
Il mercato statunitense, terza destinazione per l’export dei salumi italiani, rischia un duro colpo a causa dei nuovi dazi annunciati dal governo Trump. A sostenerlo è Assica, che ricorda come nel 2024 le esportazioni verso gli Usa abbiano raggiunto 20.188 tonnellate (+19,9%), per un valore di 265 milioni di euro (+20,4% rispetto al 2023).
Tuttavia, “l’introduzione di un ulteriore dazio del 20% potrebbe compromettere gravemente questa tendenza positiva. Questo nuovo onere, rappresenta una fonte di preoccupazione per le nostre imprese. L’aumento dei costi per i consumatori americani avrà sicuramente una incidenza negativa”, afferma Lorenzo Beretta, Presidente di Assica. “Se nel 2019 i dazi statunitensi colpirono solo alcune categorie di prodotti, come salami, mortadelle e alcune preparazioni cotte, oggi il provvedimento coinvolge l’intera gamma: con un impatto particolarmente grave sui prosciutti crudi che sono la categoria più esportata”.
I dazi arrivano in un momento già critico per l’industria dei salumi italiani, che sta affrontando anche sul fronte export le difficoltà legate alla diffusione della peste suina africana, alla chiusura di importanti mercati come Giappone e Cina e all’adozione di altre misure restrittive. “Il mercato statunitense, che negli ultimi anni è quello che ha avuto un maggiore sviluppo e ha rappresentato anche un importante sbocco tra i paesi terzi, rischia di vedere l’arresto di questa crescita, tornando ai risultati del 2022. Questa decisione del governo Usa rappresenta un ulteriore ostacolo per le nostre imprese, già messe alla prova da sfide sanitarie e commerciali”, sottolinea Beretta.
Assica ribadisce la necessità di un dialogo con le istituzioni italiane ed europee per individuare strategie di supporto alle aziende del settore e tutelare la competitività del Made in Italy sui mercati internazionali.
CONSORZIO GORGONZOLA DOP: OCCORRE FARE SQUADRA
Antonio Auricchio, Presidente del Consorzio per la Tutela del Formaggio Gorgonzola Dop commenta i dazi imposti dall’amministrazione americana ricordando come l’export di Gorgonzola Dop mondo (esclusa l’UE) copra il 14% del totale esportato e l’11% di tale percentuale voli verso gli Usa che rappresentano, quindi, un mercato di tutto rilievo con oltre 387 tonnellate in termini assoluti pari a oltre tre milioni di euro a valore.
“Abbiamo sperato fino all’ultimo che l’amministrazione americana non intraprendesse questa assurda guerra commerciale, soprattutto con noi alleati”, sottolinea Auricchio. “Alla fine i dazi sono arrivati nella misura del 20% sulla produzione casearia ‘Made in Italy’ diretta in Usa, ma bisogna tener presente che questa percentuale si aggiunge a quella già esistente che arriva fino al 15% per alcuni formaggi, tra cui il Gorgonzola Dop che, considerando un prezzo medio al chilo di dieci euro, arriverà a costare ai consumatori americani un terzo in più. A fine giugno saremo al Fancy Food di New York, una fiera importantissima, e bisogna assolutamente fare squadra intorno ai grandi formaggi Dop italiani così assurdamente e ingiustamente colpiti. Chiediamo un’azione tempestiva e concreta, sia da parte del nostro governo sia a livello comunitario, per impedire che questi ulteriori costi si ripercuotano sui consumatori americani che amano il Gorgonzola Dop, e soprattutto sulle nostre imprese già duramente provate dal prezzo del latte e da costi energetici altissimi”.
ASIAGO DOP: È IL TEMPO DELLE SCELTE RESPONSABILI
Tra gli altri, sono a rischio anche la competitività e il futuro dell’export del formaggio Asiago Dop negli Usa, primo mercato di esportazione della specialità veneto-trentina con il 24% delle vendite totali. Una prima stima del Consorzio di tutela sul danno commerciale derivante dai dazi decisi da Trump prevede un rallentamento fino a -40% dell’export verso gli Stati Uniti, mentre il peggioramento del tasso di cambio tra euro e dollaro sta già ora aggravando il problema e si annuncia un possibile calo verso altri mercati a seguito dell’incertezza generale.
“Queste scelte – sottolinea il Consorzio – danneggiano in particolare i consumatori americani, rendendo più caro il prezzo finale del formaggio Asiago e la sua reperibilità sul mercato”. Già nell’ottobre 2019, i dazi al 35% portarono a ripercussioni pesanti, un repentino rallentamento delle importazioni e un blocco delle vendite che, nel marzo 2021, dopo la sospensione dei dazi, richiese lunghi mesi e azioni dedicate di ripristino.
“È arrivato il tempo delle azioni concertate responsabili che si basano sulla consapevolezza della gravità e del rischio che stiamo correndo. Crediamo nell’importanza di un’azione europea coordinata, che esprima una visione comune, chiara e sia di impulso per uno stabile superamento di questa situazione che danneggia tutti. È da ricordare che la UE ha competenza esclusiva nel commercio estero e, per fortuna, i suoi accordi bilaterali di libero scambio negoziati nel recente passato (Vietnam, Canada, Mercosur, Messico, Giappone e altri) hanno aperto nuovi sbocchi commerciali”, afferma Fiorenzo Rigoni, Presidente del Consorzio Tutela Formaggio Asiago. “Ora sarà ancora più importante diversificare in aree come il Sud-Est Asiatico, dove il Consorzio sta avviando un progetto triennale, e potenziare le vendite intra-UE. Ma gli Usa restano un mercato di riferimento, dove abbiamo decenni di relazioni istituzionali, creazione di reti distributive e commerciali e investimenti in attività di comunicazione e promozione”.