
Il food&beverage italiano è tornato nel radar dei fondi che investono in capitale di rischio. Dopo la battuta d’arresto del 2023, quando la bolla tecnologica si è presa tutte le attenzioni del panorama finanziario, lasciando alle altre industry le briciole, il settore che più rappresenta l’italianità nel mondo ha ripreso a macinare numeri interessanti. I numeri delle operazioni di private equity concluse alla fine del 2024 ne sono la fotografia maggiormente esaustiva.
“Durante tutto l’anno scorso le operazioni aventi quali target le aziende del comparto alimentare sono state 43, così suddivise: 38 buy out (89%), due expansion (4%), tre turnaround (7%)”. A parlare è Francesco Bollazzi, Responsabile dell’Osservatorio Private Equity Monitor attivo presso la Liuc business school, che ogni anno mette in fila gli investimenti fatti lungo lo Stivale. “Il comparto – aggiunge Bollazzi – rispecchia quasi fedelmente la struttura del settore del private equity nel suo complesso”.
La maggior parte dei deal (23, pari al 53%) sono stati condotti da operatori domestici, per il restante 47% (20) da operatori internazionali. “Per quanto concerne la localizzazione geografica – interviene Bollazzi –, le imprese si collocano lungo tutto il territorio del nostro Paese, con una netta prevalenza nel Nord Italia. A livello dimensionale, invece, si riscontra la presenza principalmente di piccole e medie imprese, ma non mancano operazioni di grande dimensione, che coinvolgono anche marchi piuttosto prestigiosi”.
QUOTE DI MERCATO, IL FOOD TORNA AL 10%
Il cambio di passo è quanto mai evidente. Alla fine del 2023, come dimostrano i report passati del Private equity monitor, il f&b italiano aveva dovuto archiviare una discesa di dimensioni rilevanti, considerando che il numero di operazioni concluse era sceso del 30%, passando dalle 34 registrate l’anno precedente ad appena 24. In termini di percentuale sul mercato era stato ancora più evidente, perché mentre il tech, come detto, si era preso quasi il 30%, all’alimentare nazionale era rimasto il 6 per cento. Nel 2022 la quota era dell’8%, nel 2021 del 10% e nel 2020 addirittura del 14 per cento.
Alla fine del 2024 le percentuali sono tornate a lambire il 10%: “Nell’ultimo quinquennio – conferma Bollazzi –, appare altalenante il ruolo dell’industria alimentare quale target di operazioni di private equity, sia in termini di numero assoluto di operazioni sia per quanto concerne il peso relativo sul totale di mercato. Rispetto al 2016, nel corso del 2024 il numero di deal conclusi è sei volte superiore, nell’ultimo biennio abbiamo registrato dapprima un calo dovuto anche all’attenzione a nuovi settori industriali prima inesplorati (transizione digitale ed ecologica), poi una netta ripresa”.
Gli osservatori potrebbero non essere poi così stupiti di questo colpo di reni. In fondo, il settore agroalimentare italiano rappresenta un pilastro fondamentale dell’economia nazionale, contribuendo rispettivamente con il 2% e il 15% al Pil agricolo e generale. Nel 2024 il settore agroalimentare nel suo complesso ha generato ricavi per 676 miliardi di euro, con un record che si è fatto valere anche nell’export, arrivato quota 67,5 miliardi (vedi anche Food maggio 2025, p. 106). Tra l’altro, proprio l’Italia vanta il maggior numero di prodotti agroalimentari con denominazioni di origine protette e indicazioni geografiche riconosciute dall’Unione europea.
L’immagine di copertina è opera di Cristina Damiani