Giacomo Ponti, Italia del Gusto. Ritratto di uomo elegante in abito gessato blu con cravatta a pois.

Dazi, non abbassare la guardia

Equilibrio e buon senso sono alla base delle relazioni commerciali, sia nella gestione delle barriere tariffarie sia nelle negoziazioni con la Gdo. Il richiamo alle buone pratiche di Giacomo Ponti
Giacomo Ponti, Italia del Gusto. Ritratto di uomo elegante in abito gessato blu con cravatta a pois.

In un panorama economico globale caratterizzato da incertezze e trasformazioni, l’industria food&beverage italiana si trova ad affrontare sfide significative, ma anche a cogliere nuove opportunità. Per approfondire le dinamiche legate a export e mercati emergenti e analizzare il contesto di mercato interno, tra sfide vecchie e nuove Food ha incontrato Giacomo Ponti, Presidente dell’omonima azienda, oltre che del Consorzio Italia del gusto e dallo scorso luglio di Federvini.

Partiamo da un’analisi internazionale. Quali aree presentano le maggiori difficoltà e quali le opportunità più promettenti per l’export italiano?

In questa fase a soffrire è l’Europa, dove paesi importanti come Germania e Francia registrano consumi stagnanti e non sono ricettivi rispetto alla nostra offerta come in passato. Al contrario, è da evidenziare un interessante fermento in tutto il Medio Oriente fino all’Estremo Oriente, con paesi come India, Corea del Sud, Cina e Giappone che mostrano numeri positivi, seppur su mercati più piccoli rispetto all’Europa e all’America. Leggo anche positivamente l’accordo che l’Europa ha siglato con il Mercosur, che potrebbe aumentare i nostri rapporti commerciali, ma richiede attenzione sulla reciprocità, per evitare importazioni indiscriminate che non rispettano i nostri standard ambientali, sociali ed etici.

Gli Stati Uniti restano un mercato cruciale per l’Italian food. Qual è l’andamento attuale e quali sono le principali incertezze?

È un mercato prioritario, con un forte potenziale di crescita e va assolutamente difeso. Il 2025 sta mostrando un andamento anomalo, influenzato dai costi marittimi elevati all’inizio dell’anno per evitare l’impatto dei dazi, poi slittati al 7 agosto. Questo ha generato un sellin massiccio, ma non un corrispondente sell-out. L’obiettivo delle aziende italiane è non aumentare i prezzi al consumo, per non ridurre la domanda, ma i dazi devono essere assorbiti. L’idea è di spalmare il 15% dei costi tariffari lungo tutta la filiera (importatore, distributore, broker, catena di distribuzione e impresa italiana) con un sacrificio condiviso, evitando di scaricare tutto sul consumatore finale.

La produzione diretta negli Stati Uniti è una strada percorribile?

Per determinati prodotti, sì, come dimostrano le case di successo di aziende di pasta e salumi. Per i consumatori americani, è importante il ‘Made in’, ma anche il ‘Made by’. Ovvio che per tutti i prodotti a Indicazione Geografica ciò non è possibile. Caricare questi beni di un dazio è un danno notevole per tutta la catena del valore, dal momento che ogni euro fatturato in Italia ne sviluppa 4,5 negli Stati Uniti attraverso il lungo sistema commerciale.

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