L’Italia importa sempre più ortaggi e rischia di perdere alcune filiere storiche del Made in Italy, mentre emergono segnali incoraggianti da export e consumi interni. Secondo Fruitimprese, negli ultimi cinque anni le importazioni di ortaggi sono aumentate del 50%, spinte dal divario nei costi di produzione di mercati quali Spagna e Nord Africa e, in alcuni casi, dal vantaggio tecnologico del Nord Europa.
Patate precoci dall’Egitto e tardive dalla Francia, pomodori da Marocco e Nord Africa, carote da Francia, Paesi Bassi, Belgio, Germania e Repubblica Ceca: prodotti che un tempo vedevano l’Italia protagonista sono oggi sempre più coltivati all’estero. “Il rischio – avverte Davide Vernocchi, Responsabile ortofrutta di Fedagripesca Confcooperative – è perdere intere filiere produttive tipiche, che poi non recupereremo mai più”.
Il caso simbolo è la carota. Dai dati Istat rielaborati da Fruitimprese sui primi nove mesi del 2025, le importazioni risultano più che raddoppiate (+117%). Eppure fino a pochi anni fa, con 11.000 ettari coltivati, l’Italia importava carote per nove milioni di euro ed esportava per 99 milioni (Ismea). Al contrario, il Paese mantiene la leadership europea nelle sementi ortive e aromatiche, con 42.500 ettari dedicati (Assosementi): Emilia-Romagna prima con 14.112 ettari, seguita da Puglia (10.474) e Marche (6.264), mentre Molise e Basilicata crescono di oltre il 30%.
Tra le cause strutturali del calo produttivo figurano cambiamento climatico e riduzione dei mezzi tecnici. “A livello Ue continuano a ridursi le alternative per contrastare insetti e funghi – sottolinea Marco Salvi, Presidente di Fruitimprese – e anche il prossimo anno una decina di principi attivi rischiano di essere ridotti o eliminati”.
Sul fronte commerciale, nei primi nove mesi del 2025 l’export ortofrutticolo è cresciuto del 13,2% a valore e del 7,8% in volume, ma questo non basta a compensare il peso delle importazioni: il saldo resta negativo per 39 milioni di euro. Secondo il Direttore di Fruitimprese, Pietro Mauro, le prospettive restano comunque “incoraggianti”: le esportazioni hanno raggiunto 2.893.474 tonnellate per oltre 4,7 miliardi di euro, anche grazie alle gelate che hanno colpito la Turchia.
Mele e kiwi si confermano trainanti, con la mela che mantiene il primato mondiale e guarda a mercati in crescita come India e Brasile. In difficoltà invece l’uva da tavola, penalizzata da condizioni meteo sfavorevoli che ne hanno compromesso la qualità.
Segnali positivi arrivano infine dai consumi domestici. Secondo Cso, tra gennaio e fine settembre gli acquisti di frutta hanno raggiunto 2,11 milioni di tonnellate, in aumento del 2% sul 2024, segnando una “ripresa strutturale” iniziata a fine dello scorso anno.