Tre uomini d'affari in ufficio. Patto di famiglia per il futuro del family business.

Impresa familiare, chi paga al fisco?

Tre uomini d'affari in ufficio. Patto di famiglia per il futuro del family business.

Il maggior reddito accertato tra i partecipanti all’impresa familiare non deve essere attribuito solo al titolare (si pensi, per esempio, alle farmacie o alle attività artigianali). Il reddito va distribuito dal punto di vista fiscale tra i partecipanti secondo le percentuali tra loro pattuite. Il reddito di un’impresa di famiglia proveniente dalla stessa fonte è un’entità unitaria e non può essere imputato in modo aleatorio.
L’impresa familiare è un istituto giuridico, disciplinato dall’art. 230 bis del codice civile, che regola i rapporti che nascono in seno a un’impresa ogniqualvolta un familiare dell’imprenditore presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o nella stessa impresa. Per legge (art.5 Dpr 917/86) il 51% del reddito è del titolare, il resto pro quota tra i familiari presenti nell’impresa (ed eventualmente moglie e figli).
L’impresa familiare è costituita dall’imprenditore – che di regola è il fondatore e al quale spettano tutti gli atti di ordinaria gestione -, dal coniuge (per il quale si tratterà di una prestazione e non di una cogestione unitamente all’altro coniuge imprenditore), dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo grado. Dell’impresa inoltre possono far parte i figli adottivi e naturali.
Il rapporto familiare deve persistere durante tutto l’arco della vicenda, cosicché il divorzio e le invalidità matrimoniali sono motivo di scioglimento: ma non la separazione legale, che in quanto tale non fa venir meno il vincolo familiare. Dal punto di vista del lavoro, la prestazione deve essere non saltuaria ma non necessariamente a tempo pieno, salvo diverso accordo (per esempio: subordinato ex art 2094 cc o societario). Le mansioni possono essere le più varie.
I familiari – deliberando a maggioranza (con voto per teste e non per quote) – decidono sull’impiego degli utili e degli incrementi nonché degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, gli indirizzi produttivi e la cessazione dell’impresa.
Sono cause di perdita della quota di partecipazione la morte, il recesso (se manca la giusta causa, obbliga la parte a risarcire il danno), la cessazione del rapporto familiare, impossibilità sopravvenuta a prestare il proprio lavoro, l’esclusione deliberata dalla maggioranza dei membri. Il familiare non può cedere la sua partecipazione a estranei: essa è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti (fonte: art. 230 bis codice civile).
Alla cessazione dell’attività lavorativa per qualsiasi motivo (tranne la cessione a un familiare), e in caso di alienazione dell’azienda senza che il familiare eserciti la prelazione, il familiare stesso ha diritto a esser liquidato in denaro e il pagamento può avvenire in più annualità. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento d’azienda, i partecipi hanno diritto di prelazione sull’azienda

Luis Iurcovich
Esperto di family business e passaggio generazionale
luis@iurcovich.it

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