Trump e il fisco, una maxiriforma senza più dazi?

The Donald ha presentato il suo progetto di riforma fiscale, che comprende un forte abbassamento delle aliquote e non menziona i tanto temuti dazi. Dubbi sull'effettiva fattibilità.
Trump e il fisco, una maxiriforma senza più dazi?

Vista con gli occhi delle imprese esportatrici europee e italiane – anche e soprattutto quelle dell’agroalimentare – la riforma fiscale annunciata ufficialmente dal presidente americano Donald Trump mercoledì 26 aprile avrebbe due punti estremamente positivi e, teoricamente un riflesso potenzialmente negativo, se si avverassero certe condizioni. E comunque è assolutamente nel solco dei suoi annunci in fase elettorale.

Meno tasse sulle persone per spingere i consumi

Il primo punto positivo è una rimodulazione delle imposte sulle persone fisiche (la nostra Irpef) con la semplificazione delle aliquote a tre scaglioni, pari al 10%, al 25% e al 35%, dai sette precedenti, che arrivavano fino al 40 per cento circa. Questa rimodulazione, nelle intenzioni del presidente, dovrebbe essere accompagnata anche da un aumento della cosiddetta “no tax area”, ovvero di quell’ammontare di reddito che non viene tassato. In questo momento è pari ai primi 6.300 dollari di reddito se si è single o 12.600 dollari se si è in coppia, e dovrebbe essere aumentato ma di quanto non è stato chiarito. In fase elettorale Trump aveva avanzato l’ipotesi di portare la no tax area a 15.000 dollari per i single e 30.000 per le coppie, e chissà che riproponga questo stesso schema. Se questa riforma dovesse passare aumenterebbe, e non di poco, il reddito disponibile delle famiglie americane, con effetti tangibili sui consumi e maggiori per quelle a reddito medio e basso (le famiglie a reddito alto già consumano quel che desiderano). In sostanza potrebbero consumare di più, o potrebbero consumare prodotti di migliore qualità percepita, lasciandosi attrarre magari dalle specialità di importazione come quelle made in Italy, sempre più esportate in Usa da qualche anno a questa parte.

I dazi sono spariti dal dibattito (per ora)

Il secondo punto positivo è il silenzio del presidente, e del segretario al Tesoro Steve Mnuchin (ex Goldman Sachs) che con lui ha presentato la bozza di riforma, sulla cosiddetta “border tax”. Ovvero sull’imposizione di tutta una serie di dazi alle importazioni in America che era stata ventilata qualche tempo fa, per rimodulare a vantaggio delle imprese interne la domanda di beni. Secondo alcune stime l’Italia avrebbe perso circa 250-300 milioni di euro di export sui 3,75 miliardi di euro (+6% sul 2015) totali fatti segnare dall’alimentare nel 2016. Durante la presentazione è sparito qualsiasi riferimento a questa possibile azione e il silenzio lascia sperare che sia stata accantonata, forse per non esarcerbare ulteriormente gli animi dei maggiori partner commerciali, Cina in primis, con i quali da tempo l’amministrazione ha ingaggiato un pugno di ferro. Il silenzio di Trump sul punto dazi non chiarisce del tutto, però, la posizione del governo americano sull’argomento. Non è chiaro, in altri termini, se si tratta di una rinuncia definitiva o solo un accantonamento di questo progetto, da ripresentare magari in un pacchetto correttivo di norme qualora vi fosse bisogno per accrescere il gettito che viene a mancare con le riduzioni delle tasse.

Crescerà il disavanzo e il dollaro s’indebolirà?

Questo è, infatti, il punto potenzialmente preoccupante. Alla riduzione delle tasse sulle persone si accompagnerà anche una forte riduzione delle tasse sulle imprese, che passerà dal 35 al 15%, stessa aliquota che pagheranno le società di persone e gli “small business” che ora sono assoggettati alle aliquote della loro Irpef. Secondo molti osservatori, e tra questi anche il Washington Post tradizionalmente attento alle politiche governative (quali esse siano) il rovescio della medaglia di questa riforma sarà quello di aumentare il disavanzo federale, con problemi che si riverbereranno sui tassi di interesse per i maggiori titoli del debito (Treasury bonds) che dovranno essere emessi. Gli economisti, in altri termini, non credono che il gettito fiscale dato dalla crescita incrementale del Prodotto interno lordo, che dovrebbe salire al 3% annuo secondo le stime di Trump e Mnuchin, possa pareggiare quello perso da queste riduzioni di tasse. E il maggiore disavanzo di bilancio pubblico potrebbe, tra le altre cose, avere effetti sul dollaro nel senso di un deprezzamento contro le principali valute, ad esempio l’euro. E gli esportatori europei sanno bene quanto questo possa nuocere alle proprie vendite, soprattuto nei beni di largo consumo che hanno molti succedanei come l’alimentare.

Comunque vada, tempi lunghi

Per questo motivo far passare la riforma non sarà semplice, e il dibattito all’interno del Parttito Repubblicano è intenso. Il passaggio al Congresso di questo progetto potrebbe quindi essere rimandato e già si parla di un’eventuale approvazione non prima dell’autunno inoltrato. Sempre che The Donald non trovi subito l’appoggio incondizionato del suo partito.

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