Federalimentare, +1,8% la produzione nel 2010

Federalimentare, +1,8% la produzione nel 2010

Il bilancio 2010 dell’industria alimentare permetterebbe di guardare al 2011 con lieve ottimismo. Ma l’aumento dei prezzi delle materie prime raffredda le speranze di ripresa dei produttori. Su questi leitmotiv si è svolta la presentazione dell’andamento del 2010 del settore food & drink da parte di Federalimentare, in cui sono state illustrate anche le linee guida del neopresidente Filippo Ferrua.
L’industria alimentare italiana – secondo comparto del Paese con 124 miliardi di euro di fatturato e oltre 400mila addetti per 6.500 imprese – ha evidenziato, nel 2010, i primi incoraggianti segnali di ripresa. Lo dimostrano i dati resi noti da Federalimentare in occasione della conferenza stampa di presentazione del bilancio 2010 del settore.
La produzione 2010 ha recuperato il segno negativo dell’anno precedente, segnando un +1,8% su dati grezzi e un +1,6% a parità di giornate lavorative, dopo aver navigato a lungo sopra il +2 per cento. È emerso, perciò, un positivo rimbalzo, dopo il -1,5% del 2009: ma si è profilato, a dicembre 2010, un rallentamento di trend che si è confermato all’inizio del 2011.
Dai dati grezzi di produzione di gennaio, emerge infatti che solo alcuni comparti hanno mantenuto il segno “più”. Tra questi: la lavorazione e trasformazione della carne (+3,9%), l’ittico (+12,7%), il molitorio (+3,5%), la pasta (+4%) e le bevande, con un +2,1% aggregato. Altri comparti di rilievo, però, hanno segnato flessioni considerevoli: come la lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi (-11,8%), l’oleario (-6,6%), il lattiero-caseario (-2,3%), i prodotti da forno e farinacei (-8,2%), il cioccolatiero (-5,4%). Stazionaria, infine, l’alimentazione animale (+0,2%).
Al di là dei dati più congiunturali, peraltro, la produzione alimentare italiana ha mostrato, nel tempo, una dinamica largamente premiante. Nel decennio 2000-2010, ha messo a segno un +12,1%, con oltre 27 punti di differenza rispetto al -15,4% segnato in parallelo dall’industria nazionale nel suo complesso.
Lo scorso anno, l’export dell’industria alimentare ha chiuso l’anno sulla quota di 21 miliardi di euro, con una crescita del +10,5% sull’anno precedente, a fronte del -4,2% del 2009. L’ultimo trimestre 2010 ha segnato addirittura un +11,9%, facendo meglio della media annuale.
Tra i comparti di maggiore peso, spicca il risultato del lattiero-caseario, con 1.925 milioni di euro e un +23,6% sull’anno precedente. Superiori alla performance media di settore sono anche il comparto leader dell’export, l’enologico, con 4.277 milioni (+12,2%); il dolciario, con 2.588 milioni (+11,2%); gli oli e grassi, con 1.559 milioni (+16,3%); le carni preparate, con 1.110 milioni (+11,5%); la trasformazione della frutta, con 915 milioni (+14,4%); le acquaviti e liquori, con una quota di 584 milioni (+16,9%). Vistoso, anche se su livelli assoluti ancora modesti, pari a 114 milioni, il risultato della birra, con (+41,4%).
I mercati esteri di maggior peso hanno mostrato ampie capacità reattive. La Germania ha messo a segno una spinta del +6,7%, dopo il -3,4% del 2009; la Francia +7,4%, dopo il -2,1% dell’anno precedente; gli Stati Uniti +11,8%, dopo il -9,1% del 2009. Il quarto mercato, il Regno Unito, ha recuperato con un +6,4%, dopo il -6,5% del 2009. Ma anche altri mercati hanno mostrato spunti promettenti: a cominciare dai Paesi Bassi, con un notevole +30,5%, per proseguire con Austria (+13,6%), Canada (+25,8%) e Russia (+39,2%).
Inoltre, Paesi importanti come Cina (+55,9%), Brasile (+31,7%), Arabia Saudita (+31,6%) e Turchia (+44,4%) stanno superando lo stadio di “promesse”: sono ancora largamente al di sotto delle loro potenzialità, ma cominciano a situarsi su quote di esportazione in una fascia fra i 100 e i 200 milioni di euro.
Nel confronto 2000-2010, l’export alimentare ha messo a segno un +66,9%, con oltre 40 punti di vantaggio rispetto al +28,5% registrato in parallelo dall’export totale del Paese.
In Italia, però, le vendite alimentari 2010 secondo l’Istat segnano un nuovo arretramento in valuta corrente del -0,3%, a fronte del +0,3% di quelle non alimentari. E i consumi domestici rilevati da Ismea su un campione di 9 mila famiglie registrano, sui dodici mesi, rispettivamente, cali del -1,3% in quantità e del -0,9% in valore. Anche nella gdo le vendite food & drink segnavano, a fine 2010, un +0,4%, mentre quelle dei piccoli esercizi si sono fermate a un -1,4 per cento.
Gli ultimi dati Istat di gennaio 2011 evidenziano, poi, un -1,2% delle vendite in valori correnti, rispetto a gennaio 2010, sia per i prodotti alimentari che per i non alimentari.
L’incremento della produzione 2010 dell’industria alimentare appare legato insomma esclusivamente alla domanda estera.
In un mercato comunque poco dinamico, il valore aggiunto dell’industria alimentare ha finito inevitabilmente col soffrire. Nel 2009, ha segnato un aumento del +3,9% sul 2008. Ma, in valori costanti, esso ha segnato un nuovo calo del -1,4%, dopo il -2% del 2008: una conseguenza,in gran parte, della spesa low cost e della pressione, spesso esasperata, operata dalla gdo con le promozioni e sui prezzi alla produzione delle aziende. Nel decennio 2000-2009, il valore aggiunto del settore è calato così in termini reali del -6,4 per cento. Negli ultimi anni industria e agricoltura – i primi due anelli della filiera – hanno registrato una perdita di dieci punti nella catena del valore, a vantaggio dei tre segmenti successivi: la distribuzione, i trasporti e i servizi.

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