Kiwi italiano, miglior resa e più valorizzazione

Kiwi italiano, miglior resa e più valorizzazione

L’Italia mantiene saldamente il secondo posto tra i Paesi produttori di kiwi con 430mila tonnellate annue. A Bologna, un convegno organizzato da Cso e Regione Emilia Romagna ha fatto il punto sulla situazione produttiva e commerciale di una coltura che, sul fronte delle superfici investite, è vincolata agli sviluppi della problematica della batteriosi, che potrebbe determinare una notevole riduzione delle produzioni, e non solo nel nostro Paese.
Nel periodo 2008-2011, secondo le stime di Cso, la produzione mondiale di kiwi si è attestata mediamente intorno a 1,8 milioni di tonnellate. I primi cinque Paesi produttori sono Cina con 492mila t, Italia (con appunto 430mila t), Nuova Zelanda con 385mila t, Cile con 187mila t e Grecia con 79mila t. Questi cinque paesi rappresentano circa l’87% dell’offerta produttiva mondiale.
La produzione di kiwi a livello mondiale è quindi molto concentrata: è quanto avviene, del resto, anche in Italia, dove la superficie coltivata di quasi 29mila ettari è distribuita per circa l’80% in solo quattro regioni: Lazio 32%, Piemonte 21%, Emilia-Romagna 14%, Veneto 13%, a cui si può aggiungere la Calabria con il 6 per cento. Insieme, queste cinque regioni coprono circa l’86% della produzione nazionale a volume.
Determinanti per questa coltivazione sono le esportazioni, arrivate recentemente a livello mondiale a raggiungere 1,2 milioni di tonnellate: l’Italia concorre con il 33% dell’export, la Nuova Zelanda con il 31%, il Cile con il 12%, la Grecia con il 5%, mentre la rimanente quota del 19% è ridistribuita fra gli altri Paesi produttori.
Uno studio – effettuato da Carlo Pirazzoli e Alessandro Palmieri del Dipartimento di Economia e Ingegnerie Agrarie dell’Università di Bologna – mette a confronto i costi di produzione e la redditività del kiwi in diversi Paesi produttori europei (Italia, Francia, Grecia, Spagna, Portogallo), confrontando anche i risultati del 2010 con una ricerca analoga condotta nel 2001 dal Cso.
I dati rilevati pongono l’accento sull’aumento dei costi delle materie prime in tutti i Paesi. Il costo del lavoro invece è abbastanza stabile (soprattutto in Italia), mentre i costi di produzione sono molto influenzati dall’andamento delle rese per ettaro e dai problemi fitosanitari o nutrizionali delle piante. I costi di produzione più bassi si rilevano in Grecia e nel Sud Italia, su livelli medi i costi del Lazio, su livelli medio-alt quelli di Emilia-Romagna, Spagna e Portogallo; più elevati ancora in Piemonte, Veneto e Francia.
La variabilità dei prezzi di mercato poi cambia il quadro della redditività con valori insostenibili nei casi di prezzi più bassi. Buone sono le performance potenziali dello Zespri Gold e del Jin Tao, ma alta la rischiosità dell’investimento.
I punti critici emersi dall’indagine dei costi e dalle considerazioni espresse in occasione dell’incontro organizzato da Cso si possono sintetizzare nei problemi di natura fitosanitaria che affliggono la coltura, nell’aumento degli impianti, anche in aree meno vocate, negli alti investimenti richiesti e nella riduzione della durata degli impianti, oltre che nelle forti escursioni dei prezzi.

© Riproduzione riservata