Plasmon-Barilla, la parola al legale

Plasmon-Barilla, la parola al legale

Il 30 novembre scorso è partita sui maggiori quotidiani nazionali e su internet una campagna di pubblicità comparativa di Plasmon che metteva a confronto pasta e biscotti dell’azienda del gruppo Heinz con quelli prodotti da Barilla.
Barilla ha appena ottenuto dal Tribunale di Milano un provvedimento urgente di inibitoria nei confronti della pubblicità Plasmon. Il provvedimento dovrà essere confermato (o modificato, o revocato) dopo una prossima udienza prevista per fine dicembre. È stato infatti concesso ‘inaudita altera parte’, cioè senza sentire le ragioni di Plasmon, che potrà difendersi all’udienza fissata.
Inoltre, per il prossimo 20 dicembre è attesa un’udienza avanti il Giurì dell’autodisciplina, sempre su ricorso presentato da Barilla. Il provvedimento del Giurì (che è definitivo e non appellabile) sarà emesso al termine dell’udienza stessa, salvo rari casi di rinvio della discussione o di conciliazione della lite (molto improbabile nel caso di specie). Il dispositivo del provvedimento sarà pubblicato sul sito dello Iap (www.iap.it ) pochi giorni dopo. Per la pronuncia completa di motivazione occorrerà invece attendere qualche settimana.
Da subito, in redazione, ci siamo interrogati sulla liceità di una campagna comparativa a danno di un produttore che, comunque, opera nel completo rispetto delle normative di riferimento. Food si è quindi rivolto a Pierluigi Cottafavi, partner dello Studio legale associato FTTC (www.ftcc.it), una delle realtà più competenti, anche a livello internazionale, in fatto di diritto della proprietà industriale e intellettuale, della pubblicità commerciale e della concorrenza. Ecco che cosa ci ha risposto:
Plasmon ha realizzato una campagna pubblicitaria comparativa, accostando due prodotti di categorie differenti (che si rivolgono a un target diverso e sottostanno a diverse normative), dichiarandolo esplicitamente: è ammissibile comunque paragonare merceologie così diverse pur riconoscendone la diversità?
La normativa nazionale che disciplina la pubblicità comparativa, il D.lgs. 145/2007, subordina la liceità della comparazione, fra l’altro, alla condizione che il confronto riguardi beni o servizi tra loro omogenei, che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi. Si tratta, peraltro, della normativa di recepimento della direttiva 116/06/CE, che pertanto applica sul territorio italiano una disciplina comune agli Stati membri dell’Unione europea. Il criterio della omogeneità dei beni a confronto è imposto anche dall’art.15 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che, pur non essendo legge dello Stato, è vincolante per la quasi totalità dei mezzi di diffusione dell’advertising. Nel nostro ordinamento, quindi, non è consentito confrontare beni che non soddisfano gli stessi bisogni, come gli alimenti per adulti e quelli per i bambini al di sotto dei tre anni d’età.
Plasmon dichiara che la finalità della sua campagna è puramente informativa: è giustificabile, per dovere d’informazione, danneggiare implicitamente l’immagine di un produttore che, per la sua categoria merceologica, è perfettamente in regola con le normative di riferimento?
È inevitabile che nella pubblicità comparativa uno dei prodotti sia penalizzato dal confronto con l’altro. Ma questo risultato è giustificato sul piano legale solo se sono rispettati tutti i criteri di liceità della pubblicità comparativa. Fra questi, oltre all’obbligo di confrontare beni fra loro omogenei, occorre ricordare anche il divieto di diffondere una comparazione ingannevole. La pubblicità comparativa, infatti, non è solo uno strumento di concorrenza fra imprese: è soprattutto una modalità particolare di informazione al pubblico. Anche per questa ragione l’informazione deve essere corretta: non solo formalmente, ma anche per come viene presentata ai destinatari e quindi recepita dal pubblico dei consumatori. Questa è una condizione fondamentale perché il sacrificio del singolo – cioè dell’impresa o del prodotto che esce penalizzato dal confronto – sia giustificato dall’utilità che la comunicazione comparativa assume per la collettività. Nel caso di Plasmon, gli annunci riportano una tabella che pone a confronto il contenuto di micotossine e/o pesticidi fra i prodotti dell’inserzionista e quelli di Barilla, rispetto al limite massimo consentito dalla normativa sui prodotti per l’infanzia, anch’esso indicato nella tabella. Il parametro utilizzato è, come segnalato nella tabella, il rapporto µg/kg, in uso nella normativa di settore. L’annuncio però non chiarisce che il simbolo “µg” indica l’unità di misura del microgrammo, e che il microgrammo equivale a un milionesimo di grammo. Anche se i dati riportati sono certificati da un laboratorio, e quindi formalmente veri, dubito fortemente che il consumatore medio, ignaro del significato del simbolo “µg”, possa trarne una informazione consapevole. È invece probabile che resti impressionato dai dati numerici che la tabella riporta per ogni sostanza potenzialmente nociva contenuta nel prodotto comparato, senza rendersi conto di cosa realmente questi dati indicano. Nell’annuncio che confronta i biscotti delle due aziende, inoltre, il rischio di equivoco è accentuato dalla parte visual della comunicazione, nella quale al di sopra della tabella compare un singolo biscotto per ciascun marchio, così che i dati numerici sui pesticidi possono essere facilmente scambiati per il quantitativo contenuto in ciascun biscotto, e non invece per milionesimi di grammo contenuti in un chilogrammo di prodotto. Personalmente, credo che la maggior parte dei consumatori possa essere indotta dalla pubblicità Plasmon a ritenere che i prodotti Barilla siano poco raccomandabili anche per gli adulti, e quindi a trarne un’informazione sbagliata, la quale rischia di riverberarsi sul marchio stesso dell’azienda, con un effetto denigratorio che rappresenta, a sua volta, un limite alla liceità della comunicazione comparativa. È vero che la body-copy degli annunci dichiara che biscotti e pasta Barilla vanno bene per gli adulti, ma un messaggio va giudicato per il suo effetto complessivo, e la suggestione che deriva dall’insieme dei dati e dal modo in cui vengono comunicati, anche visivamente, nella pubblicità Plasmon, mi pare preponderante rispetto a una singola affermazione nella body-copy.
In base alla normativa che regola la pubblicità comparativa in Italia, la campagna Plasmon non ha nulla da eccepire?
La mia opinione è che la pubblicità Plasmon non rispetti diverse condizioni che il nostro ordinamento impone per la liceità della pubblicità comparativa, e della comunicazione commerciale in generale. Oltre alla disomogeneità dei prodotti a confronto, all’effetto suggestivo – e quindi potenzialmente ingannevole e denigratorio – delle modalità con cui vengono presentati dati formalmente veri, occorre considerare anche un altro aspetto, e cioè la possibilità che gli annunci sfruttino l’ansia delle madri per la salute dei propri figli, in violazione dell’art. 8 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. In passato, il Giurì dell’autodisciplina censurò per violazione di questa norma la pubblicità di un omogeneizzato che evidenziava i vantaggi salutistici di questi preparati, rispetto all’alimentazione tradizionale, per i bambini in età di svezzamento. Nonostante il vantaggio enunciato fosse risultato veritiero, a causa dell’enfasi eccessiva con cui venivano stigmatizzati gli inconvenienti dell’alimentazione tradizionale, il Giurì ritenne che la pubblicità costituisse un modo di strumentalizzare i timori delle mamme per i loro piccoli.
Quali sono, a suo avviso, le regole base alle quali dovrebbe attenersi un’impresa per fare una campagna di pubblicità comparativa a prova di critica?
Le condizioni della pubblicità comparativa corretta sono numerose e vanno sempre esaminate caso per caso. Personalmente, suggerisco sempre di verificare, come primo e generale criterio di valutazione, se la citazione dell’impresa o del prodotto altrui sia necessaria o quantomeno utile per la funzione informativa che la pubblicità comparativa dovrebbe svolgere, e quindi per evidenziare i vantaggi del bene pubblicizzato, ovvero non abbia altro effetto se non quello di penalizzare il concorrente. Per esemplificare, torno al caso Plasmon. La body-copy del messaggio dichiara che molte mamme utilizzano prodotti per adulti anche per bambini con meno dl tre anni. Ammettiamo che questo presupposto sia vero: era necessario o anche solo utile citare il marchio e i prodotti altrui per avvertire le mamme che gli alimenti per gli adulti non sono consigliabili per i bambini in tenera età? Io credo di no. Salvo che Plasmon non dimostri che Barilla ha suggerito, in qualunque modo, che i propri prodotti sono idonei anche all’alimentazione per l’infanzia. Ma su questa ipotetica causa di giustificazione, che potrebbe modificare lo scenario complessivo della vicenda, non ho elementi di fatto per esprimere un’opinione.

© Riproduzione riservata