Patto di famiglia, uno strumento per il futuro del family business

Patto di famiglia, uno strumento per il futuro del family business

In un’ottica imprenditoriale, il patto di famiglia, previsto dalla legge 14 febbraio 2006 n. 55, è un contratto che realizza un patto successorio lecito, stipulato tra un imprenditore, da un lato, e i suoi discendenti, il coniuge e gli altri legittimari, dall’altro.
Con questo contratto, l’imprenditore trasferisce in vita l’azienda a uno o più suoi discendenti senza che il coniuge e gli altri legittimari possano, dopo la morte dell’imprenditore, rimettere in discussione il patto chiedendo la collazione o la riduzione delle disposizioni testamentarie. Per evitare il rischio dell’annullamento, il contratto va stipulato nella forma di atto pubblico: una disposizione che tende ad assicurare un consenso tendenzialmente più informato di tutti i partecipanti. I partecipanti al patto – oltre ovviamente all’imprenditore disponente – devono necessariamente essere il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se, al momento della stipulazione del patto, si aprisse la successione dell’imprenditore.
La norma, inoltre, sembra presupporre che il donatario abbia mezzi finanziari sufficienti per soddisfare gli altri familiari. In modo implicito, il legislatore ha voluto che tra i familiari non rimanessero in qualche modo dei conti economici da saldare in futuro.

La norma sul patto di famiglia prefigura quindi i seguenti trasferimenti:
• la donazione (di regola, da padre a figlio) di un’impresa o di un pacchetto di partecipazioni societarie;
• un’attribuzione in denaro o in natura ai familiari non beneficiari dell’impresa a “compensazione” di quanto ricevuto in donazione.

Il patto così inteso mira a evitare conflitti tra gli eredi, e ha in qualche modo creato le premesse oggettive per facilitare questo processo di divisione dei beni.
L’elemento più interessante di questo strumento normativo è che l’imprenditore (il genitore) decide – nell’ambito di quanto conferito dalla legge – chi coinvolgere in futuro nella gestione dell’impresa: ossia, in termini più propriamente più giuridici, i discendenti ai quali egli intende trasferire l’impresa di famiglia. Non tutti gli eredi naturali sono in grado di gestire l’impresa oppure manifestano l’interesse di inserirsi nella stessa.
Oltre all’imprenditore e agli assegnatari dell’impresa, al patto di famiglia devono prendere parte anche i soggetti che sarebbero legittimati se, al momento della stipulazione del patto, si aprisse la successione dell’imprenditore: quindi il coniuge, anche se legalmente separato e sempre che la separazione non gli sia stata addebitata; i figli (sia legittimi sia naturali) e, qualora uno di questi non fosse più in vita, i suoi discendenti; gli eventuali figli legittimati o adottivi e, in loro mancanza, i loro discendenti.
Nel caso in cui l’imprenditore decida di saltare una generazione, attribuendo l’impresa ai propri nipoti anziché ai propri figli, questi ultimi (cioè i genitori di colui o di coloro che sono stati scelti per succedere alla guida dell’impresa di famiglia) devono partecipare alla stipulazione del patto di famiglia in qualità di legittimari non assegnatari. Il che significa che la legge non consente i salti in avanti.
La continuità imprenditoriale non è un atto inerziale o tacito che una volta innescato il processo del ricambio dura per sempre. Il beneficio residuale può esaurirsi in poco tempo: la disciplina del patto di famiglia cerca, quindi, di favorire il passaggio generazionale delle imprese familiari con il minor sacrificio possibile da parte dei familiari non partecipi dell’attività.
La filosofia di questo strumento normativo è caratterizzata dalla ricerca di un trattamento meno sperequativo possibile tra il familiare destinatario dell’impresa e gli altri suoi parenti. Le insidie emotive nelle interrelazioni affettive e familiari sono sempre in agguato e la rottura del circolo virtuoso della continuità transgenerazionale è sempre possibile.
Ricordiamo, infine, che il patto può essere sciolto o modificato dagli stessi che l’hanno stipulato, o mediante un nuovo contratto, o con un recesso: la possibilità di scioglimento o di modifica, però, va prevista nel patto e certificata da un notaio.

Luis Iurcovich
Esperto di Family business
www.iurcovich.it

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