Vicinato, ma non solo

Vicinato, ma non solo

La sensazione, riflettendo sull’evoluzione che ha subìto nel corso del tempo il sistema distributivo italiano, è che il suo punto di arrivo coincida esattamente con quello di partenza. A confermarlo, ci sono i dati di fine anno dei grandi retailer esteri, che mettono nero su bianco quello che anni fa nessuno avrebbe potuto immaginare: i limiti dei grandi formati e la rivincita dei negozi di prossimità. Carrefour Holding ha segnato in bilancio una perdita di 1,6 miliardi di euro, conseguenza della svalutazione della partecipata Gs da 2,3 miliardi a 956 milioni, registrando un calo di vendite negli iper del 6,9% e nei super del 7,5 per cento. Auchan, con 3,2 miliardi di ricavi, ha invece incassato una perdita di 65 milioni e registrato un calo di vendite che ha toccato persino la marca privata, scesa del 2,8 per cento. Mentre i colossi che avrebbero dovuto mettere in scacco i nostri retailer battono in ritirata, insegne come Conad, Sigma e Selex, oltre ovviamente a Esselunga e al vicinato di Coop, crescono in redditività e presidio del territorio.
I dati resi noti dall’ultimo rapporto Coop parlano chiaro: “Ormai da alcuni anni – si legge nel rapporto – appaiono in sofferenza sia i punti vendita di minori dimensioni che quelli di maggiore grandezza. Crescono invece i formati intermedi (grandi supermercati, superstore e piccoli ipermercati) che mantengono ancora tassi di sviluppo sopra la media di settore”. Insomma, le grandissime superfici non solo non sono diventate il motore per trainare la gdo italiana verso un futuro di crescita, ma hanno fatto da freno, fallendo anche nel tentativo di rendere il nostro sistema più simile a quello europeo, ossia più concentrato: se negli altri paesi i primi tre player della gdo hanno in mano quasi il 60% del mercato, in Italia ne amministrano solo il 34 per cento.
Questa italian way of retailing non deve però trarre in inganno. Il livello di maggiore competitività che uno scenario più frammentato impone agli operatori di mercato non rende di per sé sufficienti la variabile dimensionale e la vicinanza per vincere le sfide ben più complesse che il mercato impone. Il vicinato, per funzionare bene, deve anche saper interpretare in modo innovativo la convenienza e la marca privata. Che la prossimità tout court non basti, d’altra parte, lo dimostrano ampiamente i dati deprimenti di molte insegne che, già in affanno per non aver imboccato le giuste strategie di marketing e commerciali, rischieranno nel 2013 di ricevere il colpo di grazia dall’entrata in vigore dell’articolo 62.
Convenienza e private label, quindi. Ma come si innova su questi due fronti? Portiamo due esempi che ci hanno colpiti. Il primo arriva da Conad e parte dalla constatazione che, nonostante la pressione promozionale nei punti vendita continui ad aumentare (25,7%, con una punta del 27,3% a ottobre e del 34,5% nel canale iper), la sua efficacia diminuisce progressivamente e i generali cali di volumi sono lì a dimostrarlo. “Di fronte a questo scenario – ha rimarcato Francesco Pugliese, direttore generale Conad, durante la presentazione dei conti di fine anno – nel quale tuttavia ci siamo distinti per essere cresciuti dell’1% a parità di rete, abbiamo deciso di reagire lanciando un nuovo concetto di convenienza che presenteremo ufficialmente a febbraio”. L’idea è di declinare la nozione di risparmio nella marca commerciale e comunicarla attraverso i soci Conad che, in prima persona, saranno protagonisti delle campagne pubblicitarie, racconteranno piccole storie e suggeriranno un nuovo modo di interpretare il value for money. La direzione ci sembra quella di voler ‘prossimizzare’ anche la convenienza, accorciando ulteriormente le distanze tra insegna e consumatore. Una soluzione intelligente anche per bypassare il pericolo che i clienti interpretino il risparmio come un mero calcolo numerico: i software e le app per farlo non mancano, da Klikkapromo.it a RisparmioSuper.it passando per l’Sms consumatori del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. In futuro tutti avranno a portata di telefonino le migliori offerte del quartiere e la convenienza diventerà un prerequisito imprescindibile di ogni punto vendita che voglia restare sul mercato: declinarla e personalizzarla sarà l’unica strada per far preferire la propria insegna a un’altra.
Un discorso simile riguarderà le private label, ormai marchi veri e propri, capaci di fare innovazione e di offrire servizio. Dove si sposta allora il fronte dell’innovazione? Ancora una volta la risposta passa per un rapporto più prossimo con il consumatore e l’esempio-limite questa volta arriva da Auchan in Francia, che in partnership con Quirky.com, ha avviato un test per lanciare sul mercato prodotti a marchio suggeriti direttamente dai consumatori. Il caso Quirky sta facendo storia in America, dove una community di 300mila persone sforna in media 3mila nuove idee a settimana, tra le quali ne vengono selezionate 50, per poi arrivare a poche finaliste che sono effettivamente realizzate e messe in vendita in un circuito di 20 negozi come Target e Amazon. Vincent Mignot, direttore generale di Auchan France, ha dichiarato a Les Echos che a gennaio verrà sviluppata la loro comunità e già a marzo verranno commercializzati circa cinquanta prodotti di vario tipo, senza esclusione per l’alimentare. Insomma, una rivoluzione. Che, vista la voglia di protagonismo che l’era digitale ha messo nel dna dei consumatori moderni, non potrà che rendere fortemente attrattiva l’insegna che saprà gestirla meglio. Pura fantasia? Sarà. Ma si diceva la stessa cosa a chi scommetteva, vent’anni fa, sul futuro dei negozi di vicinato… Maria Cristina Alfieri

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