L’Italian food è di scena a Pechino

Alla prima edizione del World of Food Beijing hanno partecipato oltre 500 espositori di cui 203 provenienti da 26 paesi. Di questi l’Italia puo’ diventare protagonista
L’Italian food è di scena a Pechino

La Cina d’ora in poi sarà ‘più vicina’ per le aziende agroalimentari italiane. La partecipazione di 50 player del food&beverage di casa nostra al World of Food Beijing 2014 nell’area italiana – nata dalla collaborazione fra Anuga (Koelnmesse) e Cibus (Fiere di Parma e Federalimentare) – ha rappresentato una importante occasione per entrare dalla porta d’ingresso principale del grande mercato della Cina settentrionale, area ancora poco esplorata, ma dal potenziale enorme.  I numeri  parlano da soli: entro il 2018 la Cina diventerà il più grande consumatore al mondo di cibo importato per un valore stimato di 80 miliardi di dollari. Pechino, in particolare, è la regione che ha mostrato il tasso di crescita più alto con 7,66 miliardi di dollari nel 2012 (+53% vs ap) a fronte dei 6,52 di Shanghai (+20%) . “Pechino ­– ha spiegato a Foodweb Thomas Rosolia ad di Koelnmesse Italia ­­- è una città pronta per accogliere il cibo e le bevande provenienti dai mercati esteri.  L’attenzione della popolazione di fascia medio alta per la sicurezza alimentare agevolerà il food d’importazione premium, come quello italiano autentico”. L’attenzione è focalizzata in particolare su quattro colossi della grande distribuzione locale come City Shop, Ershang, Crv Olè, Jenny Lou’s, e del retail internazionale come Sam’s Club del leader americano Wal Mart.

L’obiettivo degli espositori è quello di iniziare a esplorare un mercato da 200 milioni di potenziali consumatori attraverso programmi di promozione e di educazione alimentare. In Cina l’Italian sounding è ancora molto diffuso e la vera sfida è  far capire ai buyer nel retail, ma anche agli chef nella ristorazione, la differenza qualitativa tra prodotto fake e prodotto originale. Paolo Coppini titolare dell’omonima azienda olearia ci racconta che “Pechino è una Città-Stato strategica per comprendere l’evoluzione culturale della popolazione e per consolidare la presenza in tutto il Paese, dove la nostra missione principale è quella di difendere il made in Italy”. Su questo fronte l’azienda è fortemente impegnata a combattere il fenomeno dell’Italian sounding e ha realizzato anche una campagna stampa sulla tracciabilità dell’olio extravergine uscita sul National Geographic China.

Anche Diego Pariotti, sales director export di Conserve Italia, considera la macro regione della Cina settentrionale un’opportunità da cogliere, sebbene molto meno pronta culturalmente ad accogliere cibo di importazione rispetto ad altre zone più mature: “Il consumo si sta spostando gradualmente verso la polpa di pomodoro anche se per il momento riguarda una nicchia del mercato locale. La piazza principale resta Shanghai ma confidiamo in un trend positivo delle vendite di Cirio, grazie alla presenza consolidata presso i grandi retailer internazionali come Carrefour e Auchan, ma anche la catena locale di prodotti premium Jenny Lou’s e al presidio in fase preliminare di alcune piattaforme di ecommerce come JD e YiHaoDian”.

Diffondere la cultura del prodotto italiano per un produttore di riso invece è ancora difficile in considerazione del divieto di importazione della materia prima in  Cina. Ma Riso Gallo, che esporta solo risotti pronti in questo paese, punta su una strategia commerciale di lungo periodo. “Oltre a presenziare dal 2002 in Metro China – spiega l’export manager Alejandro Titiunik –  i nostri risotti da ottobre di quest’anno sono in vendita anche da Alibaba, dove in pochi giorni hanno registrato un boom di acquisti con 400 pezzi venduti”.

L’Asia è destinata a diventare un’area sempre più rilevante anche per La Molisana espositore a Pechino per intercettare nuovi buyer e ampliare il proprio perimetro oltre Shanghai e Hong Kong. “Per un’azienda specializzata nella pasta di grano duro in un paese dove regna la pasta di grano tenero o di farina di riso, la grande scommessa è quella di adattare meglio il prodotto autentico italiano alle esigenze locali. Solo in questo modo si ridurrà gradualmente il gap tra Italia e Cina”.

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