Il cibo c’è, ma non si mangia: gli spot di Yoplait e Arab Dairy

Per fare una pubblicità di successo a un prodotto food non occorre far sapere che è buono: sempre più spesso gli spot che attirano l’attenzione sono fuori dagli schemi
Il cibo c’è, ma non si mangia: gli spot di Yoplait e Arab Dairy

Come si sarà accorto chi ha la pazienza di leggere queste nostre brevi note mensili, abbiamo un debole per le pubblicità del settore food dove non vediamo la gente che mangia. Ossia rappresentanti del target che inghiottono, sorridono, godono e ci certificano che ciò che stanno mangiando è proprio buono. Insomma, amiamo la pubblicità fuori dagli schemi. Meglio se si fa notare per la sua diversità. Del resto, non c’è pubblicità peggiore di quella che passa inosservata.

Fuori dagli schemi non significa però pubblicità infondata e gratuita. Al contrario: per esempio, volete dire che il vostro yogurt ha un milione di fermenti lattici vivi? Allora, invece di far vedere una snella fanciulla che mangia cucchiaiate di yogurt levando gli occhi al cielo, fate vedere un ricercatore che conta i fermenti. Magari con la lente di ingrandimento in mano. Fa ridere, è diverso, e va dritto al punto. Come ha fatto Yoplait con la collaborazione dell’agenzia Saatchi & Saatchi Usa.

Ma per trovare davvero qualcosa di molto, ma molto fuori dagli schemi, bisogna andare in Egitto, presso l’agenzia Advance Marketing e guardare quello che hanno fatto per il formaggio Panda, prodotto da Arab Dairy.

Qui il consumatore non solo non mangia il prodotto: lo rifiuta proprio. E subito ne paga le conseguenze. Perchè il gigantesco e impassibile Panda che dà il nome al prodotto appare e si vendica istantaneamente. Non hai messo il mio formaggio nel carrello del supermarket? E io te lo rovescio. Non hai preso il mio formaggio per la festa di compleanno del bambino? E io tiro la torta contro il muro. Il massimo della cattiveria è raggiunto quando un degente all’ospedale rifiuta il formaggio, e il panda gli stacca la flebo.

È il sogno proibito di ogni direttore vendite. È anche l’immagine di un mondo probabilmente immaginario, impossibile se non sulle rive del Nilo, dove si scrivono spot così, dove un cliente li approva e un’emittente li manda in onda.

Infine, è l’esempio lampante di che cosa sia un viral. Già, perchè oggi è frequente sentirsi chiedere ‘un viral’. Qualcosa di più che un filmetto che va su internet e in internet scompare. Propriamente il viral è un video che viene scambiato tra i naviganti, che si comunica proprio come un virus: un contenuto che si diffonde da sé (e gratuitamente, più o meno). Ma perchè qualcuno dovrebbe aver voglia di inviare ad altri uno spot? Chissà: la mente delle persone ha tante zone oscure. Ma se gli spot sono come quelli del panda, la risposta è facile.

Roberto Scotti e Lorenzo Zordan

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