Parmalat fa shopping di marchi in Cile

La società acquista attività nel Paese andino per 100 milioni di euro mentre infuria la battaglia per l’Opa lanciata da Lactalis
Parmalat fa shopping di marchi in Cile

Parmalat rafforza la sua presenza in Cile, e più in generale nel Sud America, dove sviluppa ormai una parte consistente del proprio giro d’affari. La società del gruppo Lactalis ha, infatti, acquisito alcune società basate nel Paese andino e specializzate nel settore dei formaggi. Un’operazione grazie alla quale la società guidata da Yvon Guerin presidierà questo mercato non solo più tramite accordi di licenza con operatori locali, ma con una presenza diretta. Prima di quest’ultimo colpo, Parmalat aveva acquisito alcune attività nel settore yogurt e dairy da Fonterra in Australia.

UN’ACQUISIZIONE DA 100 MILIONI DI EURO – Le società sono state acquisite tramite la propria controllata La Vaquita Holding e sono state valorizzate complessivamente 100 milioni di euro a livello di enterprise value, un parametro che tiene conto del valore degli asset e dei debiti finanziari delle aziende. Il controvalore è stato pagato in contanti utilizzando la cassa ancora presente. Le società acquisite, ha spiegato Parmalat, fatturano complessivamente l’equivalente di 95 milioni di euro, sono titolari di quattro stabilimenti produttivi e impiegano 600 persone. Il loro portafoglio di marchi comprende, tra i più importanti, i brand ‘La Vaquita’ e ‘Kümey’, oltre che essere già distributrici in Cile del brand ‘President’ di Lactalis, uno dei più noti del gruppo francese.

INFURIA LA BATTAGLIA PER L’OPA – L’acquisizione cilena arriva in un momento molto particolare della vita societaria di Parmalat, ovvero quando manca ancora una settimana (si chiude il 10 marzo) alla fine del periodo di offerta pubblica di acquisto (opa) lanciata dalla controllante Lactalis col fine di ritirare la società dalla quotazione a Piazza Affari. Un’opa decisamente molto combattuta e dagli esiti tutt’ora piuttosto incerti a causa della battaglia finanziaria che hanno ingaggiato alcuni azionisti di minoranza decisi a non aderire all’offerta da 2,8 euro ad azione di Lactalis (tramite il veicolo Sofil) perché ritenuta eccessivamente bassa rispetto al reale valore dell’azienda. Il che, detto in altri termini, vorrebbe dire che gli azionisti di minoranza di Parmalat potrebbero “regalare” la prima azienda italiana dell’agroalimentare a Lactalis, che è peraltro già accreditata di un 87,74% delle azioni, se aderissero in massa all’offerta.

“PARMALAT VALE MOLTO DI PIU’ DELL’OFFERTA LACTALIS” – Secondo il fondo Amber, capofila dei fondi “ribelli” insieme a Gamco Investor di Mario Gabelli e proprietario di circa il 4% delle azioni, il prezzo corretto di ogni titolo Parmalat dovrebbe essere compreso tra 3,8 e 4,5 euro per azione. A questo calcolo si arriva comparando il valore che dovrebbe avere Parmalat se i suoi multipli finanziari (ovvero quegli indici economico-finanziari che consentono di comparare aziende tra loro diverse, una sorta di unità di misura della finanza) fossero allineati a quelli delle imprese simili, con l’aggiunta di quanto la società potrebbe realisticamente ottenere come risarcimento danni dalla banca americana Citigroup, con la quale è aperto un contenzioso legale. Parmalat ha chiesto 1,8 miliardi di euro all’istituto americano e tra i due contendenti è aperta una fase di contrattazioni per chiudere la partita in via stragiudiziale, incentivate dallo stesso Tribunale. Secondo alcuni rumors, che non trovano conferma, a trattare sarebbero anche i legali della stessa Lactalis. Se Parmalat, però, dovesse incassare una somma da Citigroup con le azioni che sono state delistate perché l’opa è andata a buon fine, gli attuali azionisti di minoranza non potrebbero più trarne nessun beneficio.

IL NODO CITIGROUP – Nella valutazione di Lactalis, supportata dai pareri di Banca Leonardo e Lazard, però, non è incluso nessun beneficio da parte di Citigroup. Secondo l’amministratore delegato Guerin il motivo è la sua aleatorietà e impossibilità di prevedere ex ante, oltre che una seconda causa tra le due società che pende in Cassazione e che potrebbe essere invece a favore della banca americana, la quale però non riceverebbe soldi ma azioni nel caso in cui dovesse vincere.

LA GESTIONE LACTALIS E’ STATA POSITIVA? Di fondo resta la considerazione che, se il mercato dovesse ritenere congrua l’offerta da 2,8 euro, nel periodo 2011 – 2017 Lactalis abbia prodotto poco o nulla con la sua gestone. La prima opa è stata lanciata, come si ricorderà, nel 2011 a 2,6 euro. Qual è stato il frutto delle tante acquisizioni nelle quali la società ha dovuto investire quasi tutto il miliardo e mezzo di euro recuperato da Enrico Bondi nella sua gestone post Tanzi, se un rialzo di soli 20 centesimi nel 2017 è considerato congruo? Eppure le tante acquisizioni sono state sempre presentate come molto strategiche e accrescitive del valore e invece, secondo quel che emerge dall’offerta, tali non sarebbero. Ma con la scomparsa da Piazza Affari sapremo sempre meno – anzi quasi nulla – del futuro di un pezzo fondamentale dell’agroalimentare italiano.

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