Brexit, chi paga il prezzo più alto

Se il difficile negoziato tra Londra e Bruxelles non si risolverà con un nuovo accordo commerciale, varranno le norme del Wto. Con altri pesanti rincari per i supermercati inglesi
Brexit, chi paga il prezzo più alto

Oltremanica i prezzi dei generi alimentari sono in crescita al tasso più elevato degli ultimi tre anni, spinti dagli effetti della cosiddetta inflazione importata, conseguenza diretta della Brexit. Ma questi rincari, per quanto già significativi e con inevitabili ripercussioni sul contesto economico, potrebbero essere soltanto un primo assaggio. Se infatti nei prossimi due anni il primo ministro Theresa May non riuscirà nell’intento di strappare a Bruxelles un accordo commerciale più vantaggioso, la Gran Bretagna si vedrà applicare una tariffa media del 22% sulle importazioni dall’Unione Europea. Una dinamica che, come ribadisce il British Retail Consortium, avrà poi inevitabili e immediate conseguenze, riversandosi sui prezzi al consumo. Del resto, ben l’80% dell’import alimentare britannico proviene dai Paesi membri dell’Ue, per un giro d’affari pari a circa 20 miliardi di sterline, che finora ha beneficiato del libero scambio.

Lo scenario peggiore

Senza accordi diversi, dunque, potrebbero essere applicati i dazi standard previsti dal Wto. Ciò, secondo il British Retail Consortium, determinerebbe una serie di rincari che troverebbero l’apice proprio con la mozzarella e altri formaggi italiani, destinati a costare il 46% in più. Rischierebbe inoltre di diventare più cara del 40% la carne bovina irlandese e il formaggio cheddar, mentre i pomodori olandesi dovrebbero affrontare un rincaro del 21%.

La posizione del British Retail Consortium

Molto dipenderà, quindi, dall’esito delle trattative tra Londra e Bruxelles, che già si annunciano particolarmente lunghe e complesse. Per questo il Brc chiede al governo di lavorare su una disposizione transitoria, in grado di preservare l’accesso ai mercati europei, conservando gran parte delle regole attuali. L’associazione di categoria, che da sola rappresenta circa l’80% del commercio al dettaglio britannico in termini di fatturato, non condivide inoltre le teorie di chi ipotizza, dopo Brexit, nuove sinergie commerciali con Stati Uniti e Cina, in sostituzione dei partner comunitari. Al contrario, raccomanda di dare la priorità ai legami con l’Ue, cercando solo in un secondo momento opportunità alternative, magari con l’India.

L’export italiano resta stabile

Intanto, secondo i dati di Coldiretti, nel 2016 la Gran Bretagna è diventato il primo mercato straniero per lo spumante italiano, con un aumento record delle bottiglie esportate pari al 33% e un giro d’affari che ha raggiunto quota 366 milioni di euro. Nel complesso, il Regno Unito è il quarto sbocco estero per l’agroalimentare made in Italy, con un valore di 3,2 miliardi di euro, in aumento dello 0,7% rispetto all’anno precedente, nonostante la flessione di alcune categorie, a cominciare dall’olio d’oliva. La voce più importante è rappresentata dal vino e dagli spumanti, davanti a pasta, ortofrutta e formaggi, tra cui la mozzarella di bufala campana, che registra interessanti trend di crescita.

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