Parmacotto, la rinascita

Con il rinnovo del consiglio di amministrazione, si chiude un travagliato iter di crisi. Pronti a ripartire dagli asset più strategici: brand e prodotti
Parmacotto, la rinascita

Nel segno della discontinuità, rafforzando i valori del brand e puntando su una produzione di qualità senza compromessi. All’indomani del rinnovo del consiglio di amministrazione di Parmacotto, l’Amministratore Delegato Andrea Schivazappa sintetizzava con queste parole la strategia di sviluppo che animerà il nuovo corso aziendale. Food lo ha incontrato nella sede di Parma per comprendere meglio il percorso di rinnovamento dell’azienda che ha scritto un capitolo importante della storia del mercato italiano dei salumi.

All’atto dell’omologa del concordato avvenuta a metà dicembre si è formalizzata e definita la struttura del capitale sociale dell’azienda. Com’è organizzato oggi il nuovo assetto societario?
L’omologa del concordato in continuità ha permesso la definizione del nuovo consiglio di amministrazione a tre: oltre al sottoscritto nel ruolo di Amministratore Delegato sono stati anche nominati Andrea Foschi, Presidente, che ha avuto il grande merito di credere per primo in questo piano di rilancio dell’azienda, e Gianni Scognamiglio membro della famiglia Fiandri, attuale socio di maggioranza di Parmacotto. La nuova compagine societaria vede l’intervento sia come soci che come sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi dei cosiddetti “fornitori strategici”, sostanzialmente tutti i maggiori fornitori di materie prime. Per quanto riguarda la struttura organizzativa manageriale, sono stati confermati i responsabili delle funzioni commerciali nelle figure di Stefano Ballabeni e Giovanni Pastarini che hanno garantito il mantenimento di ottimi rapporti coi clienti tradizionali nei difficili momenti dell’inizio della ristrutturazione, Alessandro Cappelletti è diventato il CFO dell’azienda portando nuovo impulso al miglioramento dei processi di controllo, mentre sia per lo stabilimento di San Vitale Baganza che di Marano sono state “promosse” le risorse interne Massimo Pizzigoni e Manuele Rossetti, che hanno reso possibili i miglioramenti nelle fasi di lavorazione e nei prodotti finiti che oggi ormai tutti i nostri clienti ci riconoscono. Il marketing è stato affidato a Gaia Gualerzi.

E sulla forza lavoro che impatto ha avuto la ristrutturazione?Abbiamo basato il nostro piano di ristrutturazione sul rilancio del prodotto e sul miglioramento delle fasi di lavorazione senza mettere al centro dello stesso il semplice taglio dei posti di lavoro. Non abbiamo licenziato nessuno, abbiamo solo concordato con i sindacati 45 uscite volontarie. Vale la pena anche ricordare che il piano concordatario prevedeva la chiusura dello stabilimento di Marano, sia per gli ingenti costi di affitto che per l’incertezza nello sviluppo dei volumi di vendita. Una volta verificato che l’azienda riusciva a riprendere sviluppo nelle vendite, abbiamo raggiunto un’intesa con la società proprietaria dell’immobile rinegoziandone il costo annuo che ci ha permesso di rivedere la decisione iniziale e mantenere un sito produttivo di alto livello tecnologico alle porte di Parma.

Con questa nuova struttura come intendente in concreto rilanciare marchio e azienda?
Su questo fronte una premessa è d’obbligo. Oltre alla notorietà del brand che è rimasta solida, un ruolo centrale lo hanno avuto i fornitori che ci hanno garantito l’approvvigionamento secondo i nostri standard qualitativi, aspetto fondamentale nella nostra strategia di focalizzazione sul core business del prosciutto cotto, categoria dove l’azienda ha sviluppato la sua massima specializzazione, ma ricercando una sempre migliore qualità, senza dimenticare lo sviluppo di nuove proposte nel settore degli arrosti, alcune delle quali già sul mercato, altre in arrivo a breve.

Quanto incide oggi la produzione di prosciutto cotto e degli arrosti sulle vendite complessive del gruppo?
Rappresenta circa il 70% e a tendere l’obiettivo è di continuare ad affermarci in questo settore, che ci garantisce una marginalità importante. Il nostro obiettivo infatti non è quello di inseguire i volumi: intendiamo perseguire una strategia di specializzazione, presidiando la fascia alta del mercato e andando a integrare l’assortimento esistente con referenze in linea con le nuove tendenze di consumo, e una presentazione sia dei prodotti che del brand innovativo rispetto alla media del settore. Proprio nei giorni scorsi Parmacotto ha ricominciato a “parlare” sui social con la campagna “Stile Sottile” e ha presentato il nuovo sito web.

Innovare nel solco della tradizione è oggi il mantra dell’agroindustria italiana. Qual è la “ricetta” di Parmacotto per affermarsi in un mercato competitivo come quello dei salumi?Nel nostro settore la partita dell’innovazione si gioca sulla segmentazione degli assortimenti che non deve però snaturare la qualità della produzione. Con il lancio di “C’era una volta” siamo riusciti a ricreare un prosciutto cotto di alta qualità “fatto come una volta”, 100% italiano, utilizzando pochi ingredienti selezionati. Dopo aver presentato questa specialità nel banco taglio stiamo per introdurre anche la versione per il libero servizio.

Filiera controllata, lista degli ingredienti corta, trasparenza del processo di produzione sono elementi ormai imprescindibili per conquistare il consumatore. Voi come state cavalcando queste tendenze?
Abbiamo affrontato la sfida dell’innovazione puntando su un prodotto, che proviene da suino nazionale, che si caratterizza per un giusto equilibrio grasso magro e che quindi entra nella fascia più alta del settore. Nella produzione dei prosciutti cotti la nostra logica è quella di preservare la qualità del prodotto con la costante ricerca di una riduzione della lista degli ingredienti. Pur essendo un’azienda che guarda all’innovazione dei processi nel nostro ciclo produttivo che dura ben 5 giorni, manteniamo ancora passaggi di alta “artigianalità” per consentire il raggiungimento di un livello di eccellenza su tutte le nostre referenze.

Benché il segmento del prosciutto cotto si confermi il cuore centrale della produzione siete entrati anche in altre categorie.
Abbiamo deciso di presidiare anche il segmento degli avicoli con il lancio del petto di tacchino arrosto, 100% da carne italiana lentamente cotto al forno disponibile sia a banco taglio che a libero servizio, che viene realizzato internamente nello stabilimento di San Vitale Baganza. Si tratta di un prodotto da petto intero, che si differenzia dalla concorrenza, perché abbiamo utilizzato sistemi di cottura innovativi e lista di ingredienti molto corta. Nel settore “arrosti” stiamo iniziando a proporre nel libero servizio un nuovo prodotto che andrà a collocarsi nel segmento del “secondo piatto” e che si chiamerà “Parmaarrosto”.

Come si sta traducendo in numeri questa strategia basata sulla valorizzazione spinta dalla produzione?
Anche durante il suo periodo più difficile, la società ha continuato a sostenere il brand e gli assortimenti e razionalizzando i costi indiretti ha raggiunto sia nel 2015 che nel 2016 Ebitda molto vicini alla doppia cifra. Nel corso dei primi mesi del 2017 sia il continuo processo di miglioramento della produttività che una crescita dei volumi di vendite, a oggi siamo a circa il 15% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ci ha consentito di superare il 10% di Ebitda, risultato molto importante anche perché ottenuto in un periodo di forte crescita del costo della materia prima, a testimonianza che i fondamentali sono solidi.

Dati alla mano, l’azienda ha dimostrato di essere “resiliente” e quindi capace di adattarsi al cambiamento. Quanto ha contato il lavoro di squadra?
La condivisione del progetto di rilancio dell’azienda da parte dei dipendenti, ognuno con le proprie professionalità, è stata fondamentale per ricominciare e riprendere la rotta. Oggi la struttura di governance è molto “piatta”, questo ci garantisce decisioni rapide e un grande lavoro di team. Ritengo che alla fine sia questo il grande successo del nostro progetto e il modo in cui debbano essere gestite le aziende moderne come la nostra.

Come vede il futuro dell’azienda?
Il successo che sta avendo Parmacotto dimostra che quanto impostato a livello di piano inziale e di governance societaria sia vincente. Parmacotto è un’azienda, un marchio e un modo di lavorare e presentare il prodotto. Una realtà che deve rimanere autonoma proprio per le peculiarità che la stanno rendendo vincente e redditizia in un settore in cui si fa fatica a guadagnare. Deve altresì riprendere a proporre i suoi prodotti all’estero, sfruttando un nome e un momento in cui l’italianità nel food sta andando molto di moda. L’individuazione di partners che possano aiutarci a supportare questo sviluppo è fondamentale per dare a un brand così importante un giusto posizionamento internazionale.

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