Tuteliamo il salutismo

Ha anticipato i tempi di 25 anni, inaugurando la categoria dei prodotti salutistici, oggi in cima alle preferenze dei consumatori. E adesso Valsoia chiede ai retailer un deciso cambio di passo.
Tuteliamo il salutismo

Quando si dice capacità innovativa e visione. I due ingredienti che hanno reso grandi gli imprenditori italiani in tutto il mondo hanno fortemente segnato, come da manuale, anche l’avventura imprenditoriale di Lorenzo Sassoli de Bianchi. Non a caso laureato in medicina, 25 anni fa ha fondato un’impresa che, in tempi decisamente non sospetti, ha associato l’alimentazione al concetto di salute e benessere. Inizia così la storia di Valsoia, impresa che ha per mission quella di offrire prodotti a base vegetale per rispondere alla domanda di chi, per intolleranza o scelta salutista, vuole seguire una dieta vegetale. Nel tempo ha sviluppato una gamma di prodotti in grado di accompagnare il consumatore lungo tutti i momenti della giornata, dalla colazione alla cena. Un vero e proprio “progetto alimentare”, come lo chiamano in azienda, che offre alternative vegetali a latte, bevande, gelati, yogurt, dessert, biscotti, pietanze, formaggi e condimenti. Oggi il gruppo, uno dei pochi italiani quotati in Borsa, fattura 115 milioni di euro, cresce a doppia cifra (+28% nell’ultimo triennio) e soprattutto guarda con sempre maggiore attenzione ai mercati esteri, dove il made in Italy sano e gustoso è diventato un must per consumatori e retailer. Abbiamo raggiunto Andrea Panzani, Amministratore Delegato del gruppo (nella foto), per capire su cosa sta lavorando il leader di un comparto che è rimasto uno dei pochi ancora in crescita nel mondo del largo consumo.

Operate in un’area che sta andando molto bene: come valutate lo spazio e l’attenzione che la Gdo riserva ai prodotti salutistici e cosa suggerite per migliorare ancora le performance della categoria?
Iniziamo con il dire che le buone performance della categoria vanno riportate ai numeri complessivi del settore che non arriva a un giro d’affari in Gdo di 400 milioni di euro su 70 miliardi del largo consumo totale. Stiamo ancora parlando di una nicchia, anche se in forte crescita. Inoltre bisogna ripartire questi 400 milioni per i vari segmenti che le aziende coprono (a differenza nostra che copriamo quasi tutto), quindi troviamo mercati che valgono solo 20 milioni e anche meno. Dato questo scenario, credo che si sia rivolta a queste nicchie un’attenzione a volte smodata, inserendo player non sempre all’altezza di soddisfare le aspettative di un consumatore molto esigente e attento, perché in cerca di alternative al regolar food spesso per motivi di salute, legati ad allergie o intolleranze.

Sono entrati player poco affidabili?
È evidente che un mercato in crescita è attrattivo per tutti, ma è altrettanto chiaro che la marca dà garanzie di sicurezza maggiori. In un comparto così delicato, perché legato alla salute del consumatore, l’attenzione deve essere massima.

Un mercato piccolo, eppure affollato e con una grande pressione promozionale…
Appunto. Dalle nostre ricerche emerge che in Italia c’è un 20% di famiglie che compra a prescindere da volantini e promozioni e che ha nel carrello della spesa molti prodotti salutistici. Noi ci rivolgiamo in particolare a questo target che per profilatura socio-economica e per bisogno è disposto a spendere. 

Perché allora la categoria è così promozionata? I player sbagliano il posizionamento?
Questa è la risposta della Gdo. La nostra è che forse il distributore sta inserendo troppi prodotti che non hanno i fondamentali per stare su uno scaffale che non necessita di tagli prezzo. E quando il retailer scopre che i prodotti non ruotano, allora abbassa il prezzo.

La soluzione?
Per tornare alla questione iniziale, la categoria prima ancora che di maggior spazio, ha bisogno di una maggiore regolamentazione. Non dobbiamo cadere nel paradosso di avere in uno spazio ridotto referenze che non ruotano. Stiamo parlando di un mercato che tra il 2014 e il 2015 ha raddoppiato la penetrazione, passando dal 23 al 49%: le potenzialità di sviluppo sono enormi, ma non bisogna sprecare occasioni e momento.

Chiedete più competenza alla Gdo?
Chiediamo un serio lavoro di category. In caso contrario il rischio è depauperare una piccola nicchia e penalizzare il leader che ha fatto da motore allo sviluppo di questo mercato.

All’estero fanno meglio?
Mi piace l’impostazione americana: se si tengono a scaffale prodotti che ruotano, che onorano il loro posizionamento, che il consumatore compra perché rispondono alle promesse fatte e che hanno un prezzo corretto, il valore che si genera viene equipartito tra Retailer e Industria.

Un modo per premiare chi fa vera innovazione?
Ne saremmo felici: oggi Valsoia, leader di mercato, continua a innovare con una percentuale di successo dei nuovi lanci che Nielsen accredita al 75 per cento. Sempre Nielsen accredita la stessa percentuale ai flop dei nuovi prodotti dopo tre anni dal lancio nel mercato del largo consumo. Nel nostro caso è l’esatto opposto. Il che significa che con noi il trade investe bene, riservando spazio a prodotti che rimangono a scaffale e garantiscono una buona marginalità.

Bisognerebbe selezionare meglio?
Non dobbiamo seguire i passi della Germania che qualche anno fa ha registrato un’esplosione di prodotti vegetali introducendo a scaffale anche referenze non ben pensate e ponderate. Il risultato è stato che, dopo il boom, il mercato ha rallentato e si è fermato. Se il consumatore acquista un prodotto salutista a basso prezzo, che però non risponde alle sue aspettative, difficilmente tornerà a comprarlo. Il rischio è bruciare il mercato.

Torniamo all’importanza di proporre brand di qualità…
Prenda un brand come il nostro, che vanta un’expertise di 25 anni in tutti i comparti del salutismo: da subito Valsoia ha avuto l’idea di proporre un portafoglio allargato (che è anche un forte punto di differenza rispetto ai competitor che coprono un solo segmento) presidiando tutti i momenti di consumo, dalla colazione alla cena, con bevande, gelati, yogurt, formaggi e sostituti della carne. Attraverso la nostra offerta, i retailer possono proporre ai consumatori un vero e proprio “progetto alimentare” completo, rigorosamente italiano, che li accompagna e li garantisce durante tutta la giornata.

Di tutti questi segmenti, quali crescono di più?Più o meno sono tutti in crescita, con qualche segnale di rallentamento che va però interpretato.

Per esempio?
Nel fresco alternativo alle carni siamo arrivati un po’ tardi e stiamo colmando il vuoto assordante lasciato dall’assenza di un leader: parliamo di un mercato che ha ben 188 Sku, ma ne ruotano meno di 30! È normale che quando c’è un leader che dà valore al mercato traina anche gli altri, altrimenti il consumatore rischia di partire con un’immagine non positiva del comparto che poi è molto difficile recuperare.

Lo state facendo?
Il nostro compito è questo: stimolati da una buona concorrenza, dobbiamo portare in ogni segmento il know how dello specialista ponendoci verso i retailer non come controparte ostile, ma come partner capace di massimizzare l’esperienza d’acquisto cross category dei consumatori. Visto che siamo presenti in tutti i segmenti del salutismo alternativo vegetale, possiamo costruire con i partner del trade percorsi nel punto vendita che sono già intrinseci nella mente del consumatore.

Percorsi che suggerite anche con le campagne di comunicazione?
Esattamente. Investiamo in comunicazione istituzionale più di 7mila Grp’s l’anno (circa 6/7 milioni di euro, ndr). Nel 2016 abbiamo anche cambiato il nostro messaggio, focalizzandoci su contenuti più valoriali/emozionali, strettamente correlati alla nostra marca.

Salute e gusto: un mix che all’estero apprezzano sempre di più. Quali sono i paesi per voi più interessanti?
Per ora all’estero facciamo solo il 4% del nostro fatturato, ma l’obiettivo è crescere molto. Guardiamo con attenzione agli Usa, alla Germania e ai paesi del Nord Europa oltre a Spagna e Portogallo.

Come entrate sui mercati esteri?
Spesso in modo diretto, senza importatori. Negli Usa per esempio abbiamo stretto una partnership con Dr.Schar, abbiamo condiviso la direzione vendite frozen con loro e stiamo distribuendo le due marche insieme (loro avevano già una filiale in New Jersey). Un modo interessante per affrontare un mercato sicuramente difficile, ma tra i più grandi al mondo nei gelati.

Per crescere, le acquisizioni sono una tappa obbligata. Avete appena preso Dietetic da Maccaferri, ci saranno altre operazioni?
Sì, sia in Italia che all’estero. Abbiamo due divisioni, quella dell’healty food, che è la principale e quella del food tradizionale dove abbiamo Santarosa e Pomodorissimo: stiamo cercando marche da acquisire in entrambi questi mondi. Ovviamente con criteri diversi. Nel salutismo cerchiamo, soprattutto all’estero, realtà compatibili con la nostra filosofia e i nostri standard qualitativi. Nel food tradizionale invece ci interessano realtà che operino anche in mercati di nicchia, ma che siano supportate da brand forti. Non ci interessano le commodity, ancora una volta cerchiamo qualità e posizionamento premium.

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