Cibo, gli italiani portano l’etica in tavola

Il cibo è al centro dell’attenzione perché è uno degli ambiti in cui si può esprimere al meglio una propria idea di società, trovando coerenza tra ciò che si mangia e i propri valori
Cibo, gli italiani portano l’etica in tavola

La spesa alimentare, la tavola e la dieta degli italiani sono sempre più espressione delle preferenze e delle possibilità economiche delle persone, perché incarnano valori e orientamenti etici. Un primo importante dato di conferma proviene da un’indagine del Censis da cui risulta che l’82,5% degli italiani definisce come molto o abbastanza importante il fatto che i prodotti alimentari che acquistano riflettano le proprie convinzioni etiche, sociali, ambientali. Al momento dell’acquisto solo il 3,7% delle persone non tiene in alcuna considerazione criteri ecosolidali. Peraltro l’attenzione a tali criteri è più forte tra le donne, che nella gran parte delle famiglie hanno ancora la responsabilità primaria della spesa alimentare e dell’organizzazione della dieta familiare.

L’arte del riuso

Il nuovo contenuto sociale e valoriale del rapporto con il cibo è non solo rilevabile dalle dichiarazioni di principio degli italiani, ma anche da comportamenti diffusi, tra i quali, ad esempio, la tendenza a contenere gli sprechi, cioè il tentativo di limitare il cibo in eccesso che poi viene buttato. Così il 45% degli italiani ‘regolarmente’ e il 47% ‘di tanto in tanto’ riutilizza alimenti cucinati nei giorni precedenti per nuove pietanze: dalle frittate di pasta ai polpettoni, ad altre pietanze ancora. Solo il 7% degli italiani non ricicla mai il cibo avanzato. Lo spreco è oggi visto come un vero e proprio nemico, un gesto riprovevole, e questo è frutto anche dell’esperienza di massa fatta nel periodo di crisi, quando le famiglie italiane hanno drasticamente ridimensionato gli eccessi nei vari ambiti, a cominciare da quello alimentare. È quindi un dato di grande valore il fatto che al 37% degli italiani non capiti mai di buttar cibo perché scaduto e al 55% capiti solo qualche volta, mentre gli irriducibili dello spreco, quelli che acquistano cibo in eccesso che poi scade e lo buttano sono un residuale 7,7 per cento.

I driver della scelta etica

Ma ci sono altre opinioni e altri comportamenti degli italiani che mostrano come il rapporto con il cibo oggi sia molto più complesso del passato, e che le loro scelte maturino considerando una gamma di criteri più ampia del binomio preferenze-prezzi. Così il 94% degli italiani considera come molto o abbastanza importante per l’acquisto di un cibo il grado di trasparenza e completezza dell’etichettatura. Le persone acquistano un prodotto solo se sono nelle condizioni di capire bene cosa stanno comprando e se il prodotto aderisce in pieno alle aspettative sui diversi piani. E nella spesa alimentare può anche trovare espressione una certa idea dell’interesse nazionale al tempo della globalizzazione e, perché no, un certo orgoglio di nazione, magari legato alla convinzione che il prodotto italiano sia più buono, più genuino, di qualità più alta: infatti, il 77% degli italiani dichiara di essere pronto a pagare qualcosa in più per prodotti alimentari che utilizzano ingredienti italiani. E sentimenti analoghi si esprimono nella disponibilità a pagare qualcosa in più, dichiarata dal 74% degli italiani, per prodotti lavorati in stabilimenti situati in Italia.

La spesa sotto i riflettori

La voglia di italianità è particolarmente forte quando si parla di vino, visto che il 91% indica nell’italianità il primo fattore che prende in considerazione quando sceglie il vino da acquistare. Al di là del giudizio di valore che esprime l’atto d’acquisto, il dato decisivo è che la spesa alimentare – il cibo – oggi è al centro dell’attenzione sociale, in particolare dei giovani: anche perché è uno degli ambiti in cui meglio si può esprimere un proprio punto di vista, una propria idea di società, e lo si fa provando a rendere coerente ciò che si compra e si mangia con i propri valori. Guai a sottovalutare questa dimensione perché ha implicazioni commerciali e di mercato evidenti, a cui ascrivere, per esempio, anche la conquista di spazi di mercato da parte del commercio equo e solidale, tutto giocato proprio sulla propensione valoriale delle persone: il 32,9% delle famiglie italiane acquista prodotti del commercio equo e solidale. Certo stiamo parlando di prodotti di alta qualità, tuttavia la ragione principale del loro acquisto rinvia a una certa visione etica, sociale, che le persone hanno del proprio consumo. Il nuovo ruolo dei valori nel determinare le scelte di acquisto e consumo è destinato a perdurare, perché i Millennials più di altri scelgono verificando che il bene acquistato sia in linea con le proprie convinzioni di fondo. Resta da sciogliere un nodo: il severo scrutinio valoriale nella spesa alimentare riesce a operare con la stessa intensità anche nell’e-commerce? Troppo spesso il web è una prateria senza confini né barriere, dove le regole anche molto stringenti, che si applicano ai soggetti che fanno produzione o distribuzione fisica, si stemperano, o semplicemente scompaiono. Per rendere la competizione più equa e il mercato più sano, sarebbe utile approfondire l’analisi su questo fronte.

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