Il nuovo inizio di Parmacotto

Con l’ingresso di Giovanni Zaccanti, il gruppo di Parma ingrana una nuova marcia puntando a nuovi prodotti, mercati esteri e il raddoppio del fatturato
Il nuovo inizio di Parmacotto

È una di quelle notizie che regalano un’iniezione di ottimismo per il futuro, perché segna un importante punto a favore del made in Italy
e dell’imprenditoria italiana. Parmacotto ha una nuova proprietà. E non una qualsiasi. Un imprenditore bolognese, Giovanni Zaccanti, con alle spalle successi professionali importanti (è stato co-fondatore
di realtà del calibro di Saeco e Caffitaly) che ha deciso di acquisire la maggioranza di uno dei più noti brand italiani nel comparto dei salumi, condividendo e valorizzando il lavoro di ristrutturazione fatto
dal management negli ultimi tre anni. Un’entrata ‘in continuità’ rispetto a un impegnativo piano di lavoro che ha consentito al gruppo, guidato dall’Amministratore Delegato Andrea Schivazappa, di preservare 150 posti di lavoro e due stabilimenti a Parma e di arrivare a un fatturato di circa 60 milioni di euro. Un riconoscimento importante all’impegno di un team che ha ereditato un’azienda a un passo dal collasso ed è riuscito a renderla nuovamente attrattiva agli occhi di un investitore.

La sede di Parmacotto a Parma

 

Abbiamo incontrato Zaccanti e Schivazappa nel quartier generale di Parmacotto, a Parma, per ripercorrere insieme le fasi di questa rinascita, ma soprattutto per capire cosa c’è nel futuro di un gruppo che oggi ha tanta voglia di crescere, in Italia e all’estero.

Schivazappa, lei ha guidato il lavoro di ristrutturazione degli ultimi tre anni: quali sono state le tappe più significative (e impegnative) di questo percorso?
A.S. La storia di questo risanamento è stata avvincente, anche se molto difficile. Il percorso è iniziato nel 2015, con il rinnovo del Cda, portato avanti insieme ad Andrea Foschi, compagno di viaggio in questa ristrutturazione, che ha seguito la parte attinente la procedura e le relazioni con i consulenti, mentre io mi sono occupato della parte industriale e organizzativa. Un punto fondamentale, decisivo per il successo dell’operazione, è stato mantenere e/o ripristinare una forte relazione con clienti: nel 2013 e ’14, visto l’abbassamento della qualità del prodotto e dei servizi offerti, molti si erano disaffezionati al marchio e la priorità era recuperare terreno su questo fronte. Siamo quindi partiti dal prodotto, abbiamo approcciato la parte industriale rivedendo tutte le fasi di lavorazione, di produzione, i metodi di cottura, l’ingredientistica, soprattutto per recuperare produttività negli stabilimenti e per ritornare a un livello di qualità del prodotto che ci potesse permettere di ripartire. Questo è stato possibile grazie al fatto che fin dall’inizio abbiamo condiviso il progetto di rilancio con i nostri fornitori di materie prime, che in prima battuta sono stati fornitori e compagni di viaggio, poi quando c’è stato il cambio di governance anche azionisti: mi riferisco alla famiglia Fiandri, a Tino e Gianni Scognamiglio, a Paolo Melli, al gruppo Zelit, alla famiglia Levoni e al gruppo Felsineo che, anche nei momenti difficili (e ce ne sono stati tanti!), hanno sempre garantito qualità delle forniture e tempistica. Questo per noi ha davvero fatto la differenza.

Ma quando ha davvero capito che l’azienda ce l’avrebbe fatta a salvarsi?
A.S. Dal punto di vista della procedura, quando il concordato, dopo tanti ritardi, è diventato definitivo e questo passaggio è stato fondamentale anche grazie all’aiuto dei commissari della procedura, la dott.ssa Lunini e il dott. Orefici, che hanno sempre capito che stavamo lavorando con serietà e onestà: senza di loro non ce l’avremmo fatta. Dal punto di vista industriale invece, ho capito che l’azienda poteva farcela quando ho visto che il nostro team riusciva a ricreare valore intorno al brand e al prodotto: ho avuto la sensazione che non solo saremmo riusciti a salvare un’azienda, ma anche a fare qualcosa di davvero significativo e importante per il made in Italy.

In questi tre anni i Rosi sono usciti dalle attività aziendali: oggi brand e azienda sono completamente slegati dalla famiglia?
A.S. Fin dalla fase iniziale, con la richiesta di concordato, è stato chiaro che si creava una scissione tra passato e futuro. Un passaggio che è stato sancito prima con il cambio di governance, nel 2015, e poi con il decreto di omologa a inizio 2017, che ha permesso ai nuovi soci di entrare in azienda e al nuova Cda di formarsi.

Come si è chiuso il concordato dal punto di vista tecnico?
A.S. Fin dall’inizio ci siamo basati su un principio fondamentale: la continuità di Parmacotto non poteva prescindere dal mantenimento della forza lavoro, dei due stabilimenti produttivi e delle sedi di Marano e San Vitale. Un punto che abbiamo condiviso con i sindacati, che ci sono stati molti vicino, e con l’Unione industriali di Parma e che ci ha portati a proporre misure di mobilità volontaria solo a persone che non condividevano il progetto di Parmacotto e preferivano fare altre esperienze fuori dall’azienda. Sottolineo con orgoglio che abbiamo ristrutturato l’azienda senza licenziare nessuno. Per la parte finanziaria, invece, il debito riguardante i creditori privilegiati è stato pagato alla fine dell’anno scorso, mentre quello verso i chirografari è in corso di pagamento: molti sono rimasti nostri fornitori e, visto che ci aspetta un futuro molto lungo e positivo, avranno modo di ritornare dei sacrifici fatti finora.

Un momento della conferenza stampa di presentazione della nuova proprietà di Parmacotto

 

Zaccanti, lei è un imprenditore già attivo nel comparto del caffè (con Saeco e Caffitaly), ma anche del pomodoro (con Pezziol): come mai ha deciso di investire anche in Parmacotto?
G.Z. Era da un po’ che, come imprenditore, pensavo che per me e la mia famiglia fosse giunto il momento di investire in un progetto che, in un’ottica di lungo periodo, mi gratificasse ancora di più di quanto non lo fossi già. In questo caso devo ringraziare la famiglia Vitali che, proprio mentre mi stavo guardando attorno alla ricerca di un nuovo investimento, mi ha proposto Parmacotto.

Il dossier non era sul suo tavolo?
G.Z. Stavo vagliando diverse opportunità, ma il nome di Parmacotto mi è stato suggerito per uno di quei fortunati casi della vita.

Che cosa l’ha attratta di questa azienda e del suo brand?
G.Z.
 La proposta mi ha incuriosito subito. Ho fatto delle analisi personali e mi sono accorto che mi trovavo tra le mani un brand dieci volte più forte di Saeco, con il quale pensavo di aver già raggiunto risultati eccezionali di notorietà. Con Saeco ci ho messo trent’anni di lavoro, in Parmacotto era già tutto pronto! Poi sono passato ad analizzare le persone che ci lavoravano: ho trovato un team aperto e molto professionale con il quale ho intuito subito che avremmo potuto fare un grande lavoro. Ho capito che la quadra avrebbe potuto esprimere ancora di più se avesse avuto alle spalle qualcuno capace di rassicurarla sul fatto c’era ancora un grande futuro davanti. Da lì è partito il mio impegno.

Che cosa della passata esperienza di imprenditore le è stato più utile in questo nuovo contesto?
G.Z. L’esperienza pluriennale e collaudata nel gestire un gioco di squadra vincente. In Parmacotto il management che ho trovato ha fatto un lavoro straordinario. Andrebbe studiato nelle scuole e soprattutto replicato: quante altre aziende italiane si potrebbero salvare mettendo in campo un simile gioco di squadra?

Schivazappa, su quali elementi avete lavorato per tornare
a rendere attrattiva per un investitore come Zaccanti un’impresa che era in difficoltà?
A.S. Ci sono stati parecchi operatori di natura finanziaria e industriale che si sono avvicinati a Parmacotto. Una parte di loro era attratta dal brand, che non sempre è un punto di forza, perché quando la qualità del prodotto scende, il brand forte diventa più una minaccia che un’opportunità, quindi da parte nostra, come già detto, la grande sfida è stata proprio quella di riportare il brand in linea con la qualità del prodotto. Altri erano interessati ai volumi e al fatturato: dal 2015 abbiamo continuato a crescere, passando da 52 milioni ai quasi
60 del 2017, senza fare attività di promozione e comunicazione, perché non ne avevamo la disponibilità, ma soltanto rifocalizzandoci sulla qualità e provando a lanciare proposte innovative. Nel 2017 abbiamo raggiunto un Ebitda dell’8%, con prezzi delle materie prime molto sotto stress, e questo ha ‘ingolosito’ molti. Al di là però di brand, volumi e risultati economici, a fare il passo verso l’acquisizione è stato chi ha saputo vedere oltre, andando a scavare nell’anima del gruppo, scoprendo i valori morali e professionali che ci siamo dati, che si basano su un’attenzione maniacale per la qualità, sul rispetto del consumatore finale, su un’etica aziendale rispettosa del contesto sociale e ambientale in cui operiamo. Chi ci ha comprati ha capito che oltre ai numeri c’era molto altro. E per noi essere riconosciuti validi da un imprenditore importante come Zaccanti è stato il miglior modo per validare il percorso fatto e concludere una fase difficile, ma di grande valore economico, umano e sociale.

Avete reso l’impresa non solo attrattiva, ma anche capace di tornare a distinguersi sul fronte dell’innovazione: avete appena ricevuto il Premio Prodotto Food per una linea di prodotti che rafforza il vostro posizionamento in ambito salutista: è un trend strategico che cavalcherete nel lungo periodo?
A.S. Sì, quella del salutismo ormai è una strada segnata: per quanto
ci riguarda, ci siamo da subito concentrati sulle possibili evoluzioni in questa direzione di prodotti, ingredienti e metodi di cottura. Ci siamo recentemente cimentati anche nell’avicolo, portando la nostra competenza anche lì e il premio che abbiamo ricevuto è un primo importante riscontro. Adesso l’obiettivo è consolidare il marchio nell’alta gamma e puntare su nuove referenze come prodotti antibiotic free e dal ridotto contenuto di sale. Abbiamo iniziato anche un ‘percorso sensoriale’ per esplorare nuove tendenze del gusto grazie all’aiuto del Centro Studi Assaggiatori di Brescia: stiamo formando un panel interno di 10 esperti sensoriali per studiare nuovi prodotti, ma anche per rivedere l’ingredientistica di quelli ‘storici’. A partire dal settembre, organizzeremo anche una serie di convegni e conferenze su questo tema con scienziati, esperti di alimentazione, esperti di prevenzione, che ci aiuteranno a capire come migliorare ancora sul fronte della qualità e della salute. In parallelo studieremo nuove tecniche di cottura, importante tanto quanto gli ingredienti per realizzare un prodotto di qualità.

Zaccanti, Parmacotto è un’impresa molto radicata sul territorio: in che modo valorizzerete questo aspetto nei piani di sviluppo futuri?
G.Z. Proprio per il fatto che parliamo di un brand così radicato è doppiamente importante il fatto che Parmacotto resti italiano! Questo è un elemento che fa la differenza nel dare sicurezza a tutti. L’importante è che su questo marchio si lavori ancora tanto: se vogliamo essere primi della classe e diversificarci, dobbiamo essere sempre più preparati e in anticipo sui tempi.

La nuova linea salutista di Parmacotto

 

La valorizzazione del territorio oggi è un plus anche per presentarsi sui mercati esteri che stanno diventando sempre più strategici per il made in Italy: che piani di sviluppo avete sui mercati internazionali?
G.Z. 
Il mercato estero è molto difficile e va affrontato mercato per mercato. La mia esperienza in altre realtà mi ha insegnato che ogni mercato deve avere un suo prodotto: nel caffè, il successo all’estero l’abbiamo costruito attraverso la messa a punto di prodotti dedicati. Bisogna fare analisi puntuali, scegliere i partner giusti, personalizzare l’offerta. Il piano d’internazionalizzazione va preparato con grandissima attenzione, ma è indubbio che Parmacotto ha carte importanti da giocare anche in questo ambito.

Ogni imprenditore ha sempre una visione di lungo periodo rispetto al futuro delle sue imprese: qual è la sua visione futura di Parmacotto? Come la immagina tra 10 anni?
G.Z. 
Credo che Parmacotto abbia davvero un grande futuro davanti! Ha un potenziale incredibile, che può consentirgli a breve di raddoppiare il fatturato. La sogno così: piena di energia e in crescita esponenziale.

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