Food Summit 2022, per sostenere la crescita servono ‘colpi d’ala’

Giunto alla sesta edizione l’evento si conferma un appuntamento di grande interesse per imprenditori e top manager del largo consumo
Food Summit 2022, per sostenere la crescita servono ‘colpi d’ala’

Al Food Summit 2022 si gioca d’anticipo. L’evento, che si è svolto un giorno prima dell’apertura di Cibus, ha dato un caloroso benvenuto alla platea riservata a imprenditori e top executive manager dell’industria e della distribuzione italiana, chiamati a confrontarsi e a interrogarsi sulle strategie vincenti da adottare in un contesto di grande discontinuità. La crisi pandemica e il conflitto in corso tra Russia e Ucraina stanno ridisegnando lo scenario macroeconomico, ma nonostante le tinte fosche non sono mancati importanti segnali di fiducia e ottimismo che lasciano intravedere spiragli di luce.

Proprio come le luminosissime vetrate dell’Auditorium Paganini, che hanno fatto da cornice a questa edizione del Food Summit, organizzato da Gruppo Food (in collaborazione con Intesa San Paolo, Alix Partners, Cirio, Cibus, Number1, Cleary Gottlieb) e ci proiettano nel vivo del dibattito. Il valore dei grandi imprenditori, ha sottolineato nel discorso introduttivo Paolo Dalcò, fondatore ed editore del Gruppo Food, citando Pietro Barilla, Joseph Nissim e Pietro Ferrero, è sempre stato quello di avere delle idee accompagnate da una vision, e questa combinazione ha generato ricchezza: le piccole botteghe da cui sono partiti questi uomini sono diventate delle multinazionali, i prodotti dei brand globali e da loro sono nate nuove generazioni di manager.

Oggi gli imprenditori italiani sono chiamati a fare quello che è nel loro Dna ovvero vendere bontà e bellezza nel mondo” ha ribadito Oscar Farinetti a conclusione dell’evento, ma serve il coraggio di attuare dei ‘colpi d’ala’, non sottrarsi quindi ai sacrifici legati alla contingenza e trasformare gli ostacoli in opportunità.

MADE IN ITALY, TUTTI DICONO I LOVE YOU

Il messaggio del fondatore di Eataly arriva al termine di una serie di interventi che hanno fatto luce sulle grandi potenzialità del settore agroalimentare italiano, a cominciare dall’export che genera un valore di oltre 50 miliardi di euro.

Negli ultimi 10 anni – dichiara Gregorio De Felice, Chief Economist Intesa San Paoloabbiamo conquistato molte quote di mercato nei prodotti di fascia alta; produciamo referenze, quindi, che hanno un prezzo più alto e che sono più apprezzate, e questo è un asset strategico per le nostre esportazioni. Dal 2017 al 2021 l’export è cresciuto del 25% a valore, passando da 40 a 50 miliardi di euro, e se le nostre previsioni sono giuste nei prossimi 5 anni crescerà ancora del +30% per i prodotti di fascia medio alta”.

A TUTTO BIO

Ma quali sono le grandi sfide per la crescita? “A nostro avviso sono cinque i pillars su cui l’industria deve investire – precisa De Felice –: il biologico, sempre più centrale nelle scelte d’acquisto dei consumatori; la sostenibilità, tutti vogliono ridurre le emissioni di CO2; le filiere, molte imprese agroalimentari stanno cercando nuovi fornitori italiani; il digitale, che con la ha fatto decollare l’e-commerce e il capitale umano. Soltanto l’8% delle imprese agroalimentari italiane (in Francia la percentuale sale al 16%) ha un capo under 40”.

A proposito di biologico Oscar Farinetti non si è lasciato sfuggire l’opportunità di essere davanti a tutti dichiarando l’Italia primo paese bio.

LA GENZ TRACCIA LA ROTTA

Il punto di vista migliore per parlare del futuro del food è quello dei consumatori del futuro e quindi della Generazione Z. Fra i vari aspetti che emergono dalla survey realizzata da Alix Partners sul target under 25 colpisce soprattutto il fatto che la GenZ italiana è molto attenta a tutti i temi legati alla sostenibilità, al packaging sostenibile, al benessere animale e all’origine locale del prodotto, ma sono molto esigenti e non si accontentano di un claim. Emerge il rischio che alcuni GenZ vedano la sostenibilità come una leva di marketing. Da qui la necessità dell’industria di prendere le distanze dalle attività di puro green washing.

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