L’Algoritmo: (im)perfetti

Siamo portati a credere che per non sentirci inadeguati dovremmo condurre una vita semplicemente impeccabile, ma cosa significa essere perfetti?
L’Algoritmo: (im)perfetti
Giorgio Santambrogio-comuni contigui-VéGé

Giorgio Santambrogio

Un’anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all’estremità di un palo che lei portava sulle spalle. Uno dei vasi aveva una crepa, l’altro era perfetto ed era sempre pieno d’acqua alla fine della camminata, dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava sempre mezzo vuoto. Per anni andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d’acqua. Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati. Il povero vaso crepato, invece, si vergognava del proprio difetto e un giorno parlò alla donna lungo il cammino: “Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa”. La vecchia sorrise: “Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell’altro vaso? Ho sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero e ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi. Se tu non fossi stato così, per anni non avrei potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la casa. Ognuno di noi ha una propria specifica caratteristica: sono la crepa e il difetto a far sì che la nostra vita sia interessante e gratificante”.

UNA SOCIETÀ DI ‘INADEGUATI’

Ecco una storia assolutamente controcorrente rispetto a quanto ogni giorno la società e i media ci raccontano bombardandoci di immagini e messaggi che ci dicono chi, cosa e come dovremmo essere. Siamo portati a credere che per non sentirci inadeguati dovremmo condurre una vita semplicemente perfetta. Così la maggior parte di noi continua a pensare: “Cosa succederà se non riuscirò a tenere in equilibrio tutti questi birilli quando li tiro per aria? Cosa penserà la gente se fallirò o rinuncerò? Quando potrò smettere di dimostrare a tutti quello che valgo?”

E i messaggi arrivano, come cita mirabilmente Langer, da qualsiasi settore. Pensiamo allo sport, il motto dei moderni giochi olimpici è diventato legge suprema e universale di una civiltà in espansione illimitata: citius, altius, fortius, più veloci, più alti, più forti. Che tradotto significa produrre, consumare, spostarsi, istruirsi… in una parola: competere. La corsa al “più” senza se e senza ma trionfa senza pudore.

Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del “di più” a una del “può bastare” o del “forse è già troppo”. Dopo secoli di progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia, delle idee e persino delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di “regredire”, cioè di invertire o almeno fermare la corsa del citius, altius, fortius.

Il “tempo del gambero” non è mai un bel tempo. Bisogna dunque riscoprire e praticare il tempo dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi di inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (il nostro impatto ambientale e ogni forma di violenza).

I LIMITI DELLA PERFEZIONE NEL LARGO CONSUMO

E nel nostro settore del Fmcg gli esempi si sprecano, anche se citandoli mi attirerò qualche antipatia. Ha senso aprire ogni anno centinaia di punti di vendita in un mercato italiano (e probabilmente anche europeo) perché occorre perseguire il sempre di più? O il concetto di rallentamento può significare la possibilità di “sistemare soltanto” un vecchio store?

Il tanto vagheggiato Q-commerce è veramente utile? Serve davvero a qualcuno poter ordinare un prodotto e vederselo consegnare in meno di cinque minuti? Ogni prodotto deve essere esteticamente perfetto per essere sul mercato o potremmo vendere frutta e verdura abbandonate per le loro imperfezioni, magari a prezzi decisamente più convenienti. Qualche iniziativa in tal senso si sta iniziando a vedere.  

Un punto di vendita deve essere perfetto? Opinabile. E poi cosa significa perfetto? Deve essere certamente al servizio del cliente. Un esempio in questo caso è il format del mercato rionale, che torna a conquistare sempre più clienti con le vendite (fonte NIQ) che stanno aumentando. Il mercato rionale è un punto di vendita perfetto?  

La comunicazione above the line, in store, deve essere perfetta? No, deve essere onesta, efficace, deve colpire, creare una relazione tra insegna, prodotti e clienti. Forse deve “promuovere” anche un sorriso, come il famoso buono sconto del valore di 0,10 euro cumulabile su prossima spesa, valido dal 17.06.2023 al 23-06-2023, proposto in una nota catena ligure.

Un collaboratore di punto vendita deve essere perfetto? Sì, nella sua competenza e preparazione sui prodotti a scaffale, nella meticolosità e nella capacità di orientare, comprendere e consigliare il cliente, ma potrebbe anche non esserlo (ed entro in una iperbole) se il suo modus operandi fosse esclusivamente figlio di procedure teoriche e non dettato da passione, inventiva, creatività e magari da un po’ di sana empatia. Quanti addetti ai banchi del fresco grazie alla loro empatia attraggono clienti su clienti, aumentando la redditività di reparto? 

Le persone contano di più della procedura! Perché la perfezione abita nelle nostre meravigliose imperfezioni.

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