Cambio di paradigma

Ridurre i listini per evitare la marginalizzazione della marca e rifondare la negoziazione. Domenico Brisigotti, Direttore generale Coop Italia, esprime le sue preoccupazioni e riflette sul rapporto con l’idm
Cambio di paradigma

Siamo a una svolta, il modello adottato negli ultimi anni nella contrattazione tra industria e Gdo in maniera quasi inerziale non funziona più. In particolare nell’ultimo anno, troppe variabili si sono trasformate e il calo dei volumi è l’alert per intervenire rapidamente e in modo nuovo per un cambio di rotta. Alla vigilia della nuova stagione negoziale, Domenico Brisigotti, Direttore generale Coop Italia esprime a Food il suo pensiero, non nasconde le sue preoccupazioni e invita l’industria di marca a riflettere per evitare che l’ascesa dei prezzi giunga a un punto di non ritorno, allontanandosi in maniera irreversibile dalla domanda. Intanto si registrano i primi risultati del trimestre anti inflazione e un nuovo conflitto alimenta le incertezze sullo scenario geopolitico, minacciando nuovi rincari sul fronte energetico e delle materie prime. 

▶ Quali i feedback del trimestre anti inflazione?

I primi dati sono molto incoraggianti. Ci auguriamo che funzioni perché si tratta di un investimento importante, non previsto, che ha portato alla riduzione del prezzo del 10% di 200 tra i principali prodotti dell’offerta a marchio Coop, per coprire le esigenze di consumo di base delle famiglie. È chiaro che sarà un’iniziativa complessivamente rilevante, ma se non ci sarà una partecipazione massiva da parte delle imprese l’effetto per le famiglie sarà contenuto. Comunque l’iniziativa non cambierà certamente le sorti degli italiani nei confronti dell’inflazione, la quale scaricherà al pubblico una variazione dei prezzi medi del 25% rispetto al 2021. Negli ultimi due anni il profilo dei prezzi è stato stravolto, a fronte di redditi bloccati. In una spirale di impoverimento diffuso e crescente, i consumi si stanno contraendo, così come si stanno trasformando i comportamenti d’acquisto, con l’effetto di un marcato nomadismo tra i prodotti e tra i luoghi di acquisto. Da qui il calo dei volumi, il vero campanello d’allarme.

▶ Con quali presupposti affrontare la prossima stagione contrattuale?

Non sarà sufficiente rinnovare il contratto secondo la solita logica negoziale, bisogna rifondare il contratto. Partirei da questa riflessione: vista la dimensione del fenomeno inflattivo e le conseguenze registrate sui volumi e visto che molti degli indicatori di costo sono ormai rientrati a un livello addirittura precedente alla fase pandemica, riteniamo ci siano tutte le condizioni per intaccare il famoso tabù per cui i listini non tornano mai indietro. Per quanto impopolare nella business community, la riduzione dei prezzi di acquisto anche dei prodotti brand è un percorso quanto mai necessario.

▶ L’industria sostiene di essere in sofferenza e di non aver recuperato i margini che dal 2019 al 2022 si sono dimezzati.

È vero che il contesto produttivo è molto composito, caratterizzato da dinamiche differenti, ma è incontrovertibile che le componenti principali del costo delle merci come l’energia, i noli e molte materie prime sono in calo. Non è mai accaduto che si ritoccassero i listini al ribasso, sarebbe un evento unico, ma è altrettanto vero che non ci siamo mai trovati di fronte a un a un quadro di questo tipo.

▶ Sarebbe una manovra che aiuterebbe a portare in positivo i volumi dei brand?

La stabilità dei listini o eventuali ulteriori rialzi, rischia di compromettere il ruolo delle marche nel largo consumo. Temiamo che si stia attraversando un punto di rottura tra i prezzi praticati e i prezzi sostenibili dalla domanda. Il calo dei volumi è il segnale evidente che c’è il rischio concreto di una progressiva marginalizzazione della marca nel largo consumo italiano, prima nei consumi e immediatamente dopo nelle politiche della Gdo. 

▶ Sembra una minaccia…

No assolutamente, questa non è la minaccia di Coop, intendiamoci, è la preoccupazione di Coop: se la politica di pricing dei brand dopo questa fase tumultuosa non dovesse invertire la propria direttrice al rialzo c’è il rischio concreto di rompere il punto di equilibrio. La riduzione dei volumi rischia di essere l’anticamera di uno scenario nuovo per il largo consumo italiano, in cui i brand presidiano un piccolo spazio di alto valore, uno scenario che non auspichiamo.

▶ Non c’è consapevolezza del cambiamento?

C’è consapevolezza del quadro, ma c’è difficoltà verso il cambiamento. Per anni i rapporti tra industria e Gdo sono stati guidati da una logica e rituali ripetitivi rispetto al rinnovo dei contratti, rispetto all’attività promozionale, in uno scenario di grande stabilità dei comportamenti di consumo, dettata da una crescita lineare per quanto debole. Già nel pre pandemia si ravvisavano segnali di cambiamento negli atteggiamenti di consumo e nel quadro competitivo della distribuzione. Gli eventi degli ultimi anni non hanno fatto altro che accelerare tutti questi fenomeni. 

▶ Un’industria di marca in sofferenza non fa bene alla Gdo, così come puntare esclusivamente sulla Mdd. Quale sarà il giusto mix assortimentale per salvaguardare la redditività?

La Mdd ha un ruolo importante, ma siamo comunque un sistema, un contenitore di brand che non può permettersi di gestire marche industriali marginali. È poi compito dell’industria individuare i percorsi e gli strumenti per diventare più attrattiva.

▶ La via maestra è l’innovazione, state riscontrando dinamismo?

Negli ultimi anni è emerso poco di rilevante. Non può definirsi innovazione l’allargamento di gamma con nuovi gusti e formati; queste iniziative sono fini a stesse per occupare spazio a scaffale, non creano valore. 

▶ Quale innovazione bisogna perseguire? Ci sono comunque nuovi segmenti, il plant based, i prodotti funzionali, proteici…

Sono fenomeni interessanti, ma che al momento non riescono ad acquisire una dimensione in grado di cambiare le sorti dell’impresa, prima dell’industria e poi della distribuzione. Serve l’innovazione che scuote il mercato, che genera processo di inseguimento reale. Mi rendo conto che è oggettivamente difficile e non replicabile con continuità.

▶ Al di là del concept, servono grossi investimenti di marketing, quindi i big player hanno più chance di riuscire a sfondare anche in questo momento?

Sì, ma sono comunque pochi quelli che riescono a unire forza del marchio con reali cambiamenti nel mercato di riferimento.

▶ Non ritiene di essere troppo severo nei confronti dell’industria?

Non voglio infatti lanciare accuse, quanto piuttosto sottolineare che il tema dell’innovazione è solo uno dei fattori critici. Mi rendo conto che l’innovazione continua e perenne in tutti i mercati è una fantasia, soprattutto in settori dove le chance di evolvere i prodotti sono più complicate. Bisogna però essere consapevoli che puntare sulle estensioni di linea non funziona più. È evidente il grado di saturazione raggiunto e la sovrapponibilità dei prodotti. La riduzione degli assortimenti, la spinta sulla marca privata e sulle promozioni è una sorta di reazione della Gdo ai reali cambiamenti della domanda e del contesto competitivo, cui deve adeguarsi anche l’industria. Se invece questa rimane settata su uno scenario che non c’è più è chiaro che si crea conflitto. Un modello negoziale old style fondato ancora su logiche di assortimento e su un’economia espansiva non è più sostenibile, ci aspettiamo un nuovo rapporto con l’idm. 

▶ Anche la Gdo ha bisogno di innovare, come?

Certamente, anche la distribuzione deve mettersi in discussione ed evolvere. L’auspicio è quello di trovarsi di fronte un interlocutore propenso al cambiamento. 

▶ Quale modello si adatta al contesto e può preparare al futuro? È auspicabile maggiore collaborazione? 

La soluzione è rimettersi a un tavolo a discutere tenendo conto che sono cambiate le condizioni. Molti brand stanno registrando un deciso arretramento nelle posizioni, ma credo che proprio un ridisegno della relazione, possa portarci a guardare in modo positivo anche al prossimo anno. Riteniamo che questo sarà possibile se si farà tesoro di quanto accaduto e sul fatto che non è immaginabile inseguire il ripristino di uno scenario che è destinato a non ripresentarsi. Il consumatore ha lanciato segnali inequivocabili, tocca a noi tutti coglierli e tenere una postura sul mercato in grado rispondere alle nuove esigenze che esprime.

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