Cover story – I consumi che verranno

Il 2025 sarà segnato dal ripiegamento degli italiani sulla sfera individuale e familiare, che darà forza a fenomeni come home dining e long cooking. Resta alta l'attenzione sulla sostenibilità, che però mostra qualche prima, timida, crepa
Cover story – I consumi che verranno

Che l’anno appena iniziato si prospetti interlocutorio sul piano macroeconomico è percezione diffusa nella business community. La più recente release del Rapporto Coop evidenzia come i manager italiani ipotizzino per i prossimi 12 mesi un ulteriore rallentamento del Bel Paese, che sembra nuovamente perdere il passo della (pur già lenta) economia europea: la crescita italiana del Pil potrebbe fermarsi nel 2025 appena sopra lo zero (+0,5%), a fronte di una previsione Istat pari al +0,8 per cento. Un indicatore certo non rassicurante, che diventa ancora più critico se si considera come il 66% degli intervistati dalla survey prospetti un indebolimento dell’Unione europea.

Non c’è, insomma, da alzare i calici. E va detto che questi presupposti potrebbero anche non rappresentare l’orizzonte peggiore. Sono svariati, infatti, i fattori esogeni che si candidano a rendere ancora più scivolosa la strada per il comparto industriale. Nella lista compaiono voci purtroppo ormai note e sperimentate (si pensi alla fluttuazione dei prezzi di gas ed energia che tanto impattano sui costi di produzione e trasporti, ai riflessi sulle catene di approvvigionamento e sulle rotte delle esportazioni legati alle tensioni geopolitiche e ai conflitti bellici), altre invece irrompono sulla scena come variabili inattese.

Il 2025 inizia, infatti, sotto un cielo mutevole: l’insediamento di Donald Trump nella sala ovale lascia intendere che molto nei rapporti istituzionali (e quindi commerciali) della Casa Bianca con il resto del mondo si prepara a cambiare. Il tycoon ha minacciato di imporre dazi a pioggia. Nel mirino c’è innanzitutto la Cina, che potrebbe fare i conti con una più significativa tassazione aggiuntiva sui propri prodotti. Ma neppure il resto del mondo può dirsi al riparo dai rincari. E questo è abbastanza per creare preoccupazione anche all’interno dei confini italiani, tanto che, secondo il citato Rapporto Coop, otto manager su 10 (77%) ritengono possa rivelarsi necessaria l’introduzione di contro-dazi per proteggersi dalle politiche statunitensi. Ma non solo. Perché, in risposta a Washington, anche Pechino potrebbe mettere a terra imposizioni tariffarie doganali, che nella guerra tra i due giganti non è escluso arrivino a toccare il Vecchio Continente.

Con effetti negativi sui bilanci a livello globale: le proiezioni stilate dalla Fondazione Aurelien Saussay suggeriscono, infatti, che le nuove tariffe doganali tratteggiate da Trump produrrebbero un arretramento del Pil superiore al -0,1% in Europa e al -0,6% in Usa, vicino al -0,7% in Cina. Nulla però è ancora ufficiale. Si tratta, per ora, solo di mosse politiche annunciate, che potrebbero non trovare poi concreta applicazione. Già in passato, osservano gli analisti, Trump ci ha abituato a sortite impetuose, che avevano l’obiettivo di ottenere risultati molto più contenuti rispetto alla posta in gioco iniziale. Di assicurato, c’è invece che questo clima di incertezza impatta negativamente sui piani strategici delle imprese, suggerendo una revisione delle politiche commerciali rivolte all’estero.

Ma non solo. L’instabilità legata a questo scenario rischia, infatti, di riverberarsi anche sul mercato domestico, generando una contrazione del già ridotto potere di acquisto delle famiglie. E dunque ponendo le basi di una stagione non facile per i consumi.

FOOD IN CRESCITA TRA LE MURA DOMESTICHE

La food industry può però tirare un, seppur parziale, respiro di sollievo: sempre stando al Rapporto Coop, il cibo, soprattutto quello consumato tra le mura domestiche, è una delle categorie verso cui i nostri connazionali dimostrano maggiore propensione all’acquisto. Come dire: alla buona tavola non si rinuncia. Insieme a utenze e salute, il food compone un terzetto che porta addirittura le proiezioni complessive sulle vendite al dettaglio a puntare a una crescita.

“Per la prima volta dopo lungo tempo – osserva Albino Russo, Direttore dell’Ufficio studi economici Coop –, gli italiani che ipotizzano nel 2025 una crescita dei consumi superano del 6% quelli che prevedono di diminuirli: i primi raggiungono infatti il 22%, i secondi si fermano al 16%”. Un segnale incoraggiante, quindi, che pure dovrà essere messo in correlazione con l’altro indicatore capace di restituire il reale stato di salute del settore: i volumi.

Sulla scorta dell’esperienza consolidata in questo ultimo triennio, le famiglie potrebbero mettere in conto un aumento degli scontrini necessario a fronteggiare la spinta inflattiva. Che, tuttavia (e qui sta la buona notizia tanto per le imprese quanto per gli shopper), in questi ultimi mesi ha finalmente rallentato la corsa, imboccando la strada di una progressiva normalizzazione. Resta comunque il fatto che la propensione a mettere mano al portafoglio dovrebbe irrobustirsi lungo i prossimi mesi. Premiando i conti delle industrie alimentari e in particolare di quelle che sapranno meglio intercettare i driver più significativi nelle scelte di acquisto tra gli scaffali. Tra i quali vanno segnalati principalmente due macro-filoni.


L’illustrazione è opera di Federico Tramonte

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