Dieci riflessioni sul mercato della pasta

Dopo l’articolo uscito su foodweb.it il 3 febbraio 2015, alcuni operatori hanno concordato sull’analisi del mercato. Proseguiamo questo percorso con alcune considerazioni…
Dieci riflessioni sul mercato della pasta

La prima. Nei primi mesi del 2015 si conferma il trend dell’anno precedente.  Le vendite a valore crescono grazie all’aumento dei listini, determinato dall’aumento della materia prima che è cresciuta di quasi 7 centesimi al kg. Ciononostante, si registrano ancora offerte promozionali molto aggressive. Il numero uno del mercato, Barilla, nel mese di febbraio ha invertito la marcia crescendo a volume del 19% (raggiungendo una quota del 37%) e del 12,8% a valore, attestandosi sul 34,1% di market share.

Ma la crescita si arresta nei due mesi successivi, tanto che a marzo perde il 14% a volume e si assesta su una quota del 30,9%; scende anche a valore posizionandosi sul 30,5% di quota. Discorso diverso per il brand Voiello, che è riuscito a decollare registrando nei primi tre mesi del 2015 ottime performance: +17,3% a gennaio, +25,2% a febbraio e +40,5% a marzo, conquistando una quota a volume del 2,9% e del 3,7% a valore. Barilla, inoltre, va forte all’estero, dove ha siglato un accordo di distribuzione in Uk con Euro Food Brands Ltd, la società di Stephen Barlow, un ex dipendente Barilla che distribuisce illy  e che per anni aveva distribuito anche De Cecco. Le prospettive di crescita sul mercato inglese di Barilla sono alte, anche perché il gruppo sperimenterà con Ocado la vendita online dei suoi prodotti insieme ad altri circa 600 item dei soci del Consorzio Italia del Gusto. E negli Usa le cose vanno ancora meglio.

La seconda. De Cecco continua a crescere sia a volume sia a valore, senza azionare la leva della promozionalità. A marzo ha registrato un trend del +15%  e conquistato una quota pari all’8% a volume e all’11,6% a valore. Non solo: sta sperimentando anche la vendita online di tutti i suoi prodotti che, per gli ordini sopra i 25 kg in Italia e per oltre 50 kg all’estero, vengono consegnati gratuitamente a domicilio. Una confezione di pasta da 500 gr viene venduta sul sito di De Cecco al prezzo di 1,49 euro e quella da 3 kg a 8,64 euro. Sul sito di Amazon, 5 confezioni costano  18.31 dollari negli Usa, mentre 6 confezioni in Uk costano 8,99 sterline.

La terza. De Cecco per la prima volta ha pianificato ingenti investimenti in campagne tv per i prossimi mesi per un valore pari a 10 milioni di euro. È vero che oggi la tv costa pochissimo e viene svenduta  intorno a 1000 euro a grp, prime time. Ciononostante, se non si investono almeno 4 milioni di euro all’anno l’efficacia è molto scarsa. Per intenderci, Barilla e Ferrero investono ciascuna circa 100 milioni di euro l’anno.

La quarta. Il mercato della pasta integrale segna forti tassi di crescita intorno al 30% a volume, a fronte di un incremento di 2.500 tonnellate in un anno conquistando una quota del 2,7% nel 2014, contro i 2,1% del 2013. Barilla in questo segmento è leader, con un trend del +23%, seguita da Garofalo con un +56%, De Cecco con un +10% e Delverde con un +60 per cento.

La quinta. Chi sale e chi scende nel mercato della pasta? Crescono sia a valore sia a volume oltre ai già citati De Cecco e Voiello, anche Garofalo, La Molisana, Granoro, Pallante, Rummo, Di Martino e Amato, mentre scendono le pl (a marzo -15%), Divella, Agnesi, Delverde e Baronia. Rummo è entrato in Esselunga e sta per entrare in Sma e in Alì mentre Di Martino, che ha sottoscritto un’alleanza con Slow Food, è ripartito anche con il brand Amato. Delverde va sempre forte all’estero così come Pasta Zara che dichiara di essere il più grande esportatore di pasta italiana grazie alla capacità produttiva di 1.500 tonnellate giornaliere quasi tutte prodotte per le pl estere, fatta eccezione per Israele, dove è leader di mercato con il proprio brand grazie a un contratto di distribuzione stipulato con Nestlè. Il Gruppo Colussi invece vuole acquisire pastifici regionali, puntare sulla tipicità del territorio e sulla fascia premium, riposizionando il brand storico Agnesi. Le performance migliori continua a registrarle La Molisana, che l’anno scorso ha chiuso con una quota a volume del 3,8% e nei primi tre mesi dell’anno ha già raggiunto il 4,7 per cento.

La sesta. “Nel mercato della pasta – spiega un importante industriale che vuole rimanere in anonimo – oggi in Italia si fa una guerra fra poveri. All’estero poi viene quasi regalata. Abbiamo insegnato ai turchi a produrre pasta e, grazie agli incentivi sull’esportazione, vengono a venderla in Italia a prezzi irrisori. Molti produttori del sud Italia producono pasta commodity  per la pl e la vendono senza realizzare margini”.

La settima. Un altro industriale aggiunge:  “La pasta si dovrebbe pagare in base alle proteine che contiene, così come il grano. I grani speciali, quelli migliori che si coltivano in Arizona, in Canada e in Australia, costano 520 euro la tonnellata e anche di più. Anche se la qualità dei grani prodotti in Italia è migliorata, non riusciamo a ottenere qualità paragonabili, senza contare le quantità disponibili sul territorio. Solo per fare un esempio, per avere una pasta con un indice proteico pari al 14%, i grani devono averlo pari a 16% perché il 2% si perde nella lavorazione. La legge italiana consente poi una tolleranza del 20% sulle proteine. Morale: sul mercato si trova pasta che viene dichiarata con il 14% di indice proteico, anche se di fatto talvolta la percentuale è inferiore. Qualcuno ha mai analizzato quante proteine contengono alcuni brand?”. Noi non siamo d’accordo con queste affermazioni. I controlli ci sono e la garanzia della qualità viene assicurata dalle industrie di marca e dalla loro storia.

La ottava. La qualità poi non è un aggettivo. Ci sono paste di qualità appena sufficiente, altre di media qualità e altre ancora di qualità premium. Sono le materie prime e la ricettazione a fare la differenza così come l’indice proteico, la trafilatura al bronzo o al teflon, il colore che dipende dal tipo di essiccazione, se ad alta o bassa temperatura, l’acqua utilizzata, la tenuta di cottura. Non solo il pack e il prezzo di vendita.

La nona. L’Aidepi in Italia associa una quindicina di pastifici su 120 (e oltre 100 industrie del dolciario su 220). Paolo Barilla, che è stato recentemente riconfermato alla carica di presidente Aidepi, deve fare i conti con i restanti oltre 100 pastifici alcuni dei quali stanno progettando di mettere in cantiere un’associazione alternativa che raggruppa i produttori di pasta secca e fresca. Se ne parla da tempo, ma per ora non c’è nulla di definito. Fra questi i promotori sono De Cecco, Delverde, Rummo, Cocco, Afeltra e Dematteis. Nota da mettere in agenda: l’associazione UN.A.F.P.A, l’unione delle associazioni dei produttori di paste alimentari dell’Ue, compresa Aidepi, organizza il congresso Food Drink Europe all’Expo di Milano dal 29/6 al 3/7.

La decima. Divella vuole mettere in cantiere un grande consorzio per l’export. Sono oltre 140 le industrie alimentari invitate a partecipare al progetto e per l’occasione è stato organizzato un incontro lunedì 4 maggio a Milano presso la Regione Lombardia per approfondire i contenuti della proposta. Si vuole seguire il percorso tracciato da Italia del Gusto e da Eccellenze Italiane, i due consorzi export specializzati nel food & beverage. Fare sistema conviene. Lo dimostra quanto sta accadendo nel settore del vino, dove alcuni produttori riceveranno 500 milioni di euro di contributi europei e italiani a fondo perduto per i prossimi tre anni per attività di promozione e pubblicità all’estero.  Perché solo le aziende del vino ricevono questi incentivi, mentre quelle della pasta o del pomodoro, dei salumi o del bakery neanche un euro?

di Paolo Dalcò

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