Formaggi italiani, l’incognita Brexit pesa sull’export

In base ai dati di Assolatte, il settore caseario italiano sta perdendo l’8% mentre l’incertezza è massima su tempi e modi dell’uscita del Regno Unito dall’UE. Le tre ipotesi dei produttori italiani sul futuro del dairy Made in Italy oltremanica

L’incertezza non paga. Mentre i cittadini e le imprese inglesi ed europee continuano a vivere sotto la mannaia della Brexit, il settore dei formaggi italiani sta perdendo un importante mercato di riferimento. Secondo i dati di Assolatte, l’export del dairy Made in Italy verso la Gran Bretagna, terza destinazione per importanza, è diminuito dell’8,2% in volume: -10% i formaggi freschi, -17% i formaggi grattugiati, – 4% il Gorgonzola. Si salvano solo, si fa per dire, i formaggi duri con un +0,6%. Al momento, conferma Assolatte, reggono solo i prezzi (+3%) in ragione dell’alto valore aggiunto delle specialità italiane. “C’è il rischio che il prolungarsi di questo periodo d’incertezza scoraggi le imprese italiane e vanifichi gli sforzi che per anni noi imprenditori abbiamo affrontato per consolidare un mercato essenziale per le nostre esportazioni” precisa Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte. Esportazioni che nell’ultimo decennio sono aumentate del 60%.

formaggi italiani

BREXIT: LE 3 IPOTESI DI ASSOLATTE SUL FUTURO DEI FORMAGGI ITALIANI

La peggiore: no deal

Ovvero, un’uscita disordinata del Regno unito dall’Unione. Il governo britannico ha predisposto un documento (provvisorio) che prevede l’abbattimento dell’87% delle linee tariffarie dei prodotti importati che subentrerebbero a seguito della modifica dello status di UK: da Paese membro dell’UE a Stato Terzo. Il restante 13% delle linee tariffarie, però, non è stato liberalizzato perché riguarda settori sensibili per l’UK come i latticini (burro e alcuni formaggi). Per i produttori italiani, l’eventuale imposizione di dazi sarebbe un grosso problema, soprattutto per i formaggi italiani grattugiati (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorini). Infatti, applicando il dazio a 4.500 tonnellate (tanto ne è stato esportato nel 2018) la perdita per le nostre imprese supererebbe il milione di euro. Altre conseguenze negative di una hard Brexit riguardano gli aspetti sanitari e doganali: le aziende italiane perderebbero tutti i vantaggi derivanti dagli scambi con un Paese parte dell’unione doganale che rispetta la stessa normativa sanitaria.

La probabile: proroga

Se Bruxelles accetterà la proposta di un’estensione tecnica della scadenza del 29 marzo (dopodiché scatterebbe il rovinoso No Deal), il Regno Unito resterà nell’UE fino al 30 giugno e inizierà i negoziati per le relazioni future con l’Europa. In questo caso, però, oltre a prolungare l’attesa prima di conoscere l’esito della Brexit, si rischia di prolungare anche lo stato di preoccupazione nel quale vivono e lavorano le imprese italiane e consolidare il rallentamento dell’export dei formaggi italiani in UK.

La migliore: accordo

Se l’UK accettasse la proposta dalla Commissione, tutto rimarrebbe così com’è in attesa di un accordo di libero scambio da concordare entro il 2020. Durante questo periodo transitorio (dalla data di uscita alla fine del 2020) il Regno Unito farebbe ancora parte del mercato comune e dell’unione doganale. Le Indicazioni Geografiche italiane (DOP, IGP, STG) manterrebbero il loro status e le aziende godrebbero della continuità delle procedure commerciali. Le esportazioni di formaggi italiani nel mercato britannico (che valgono 250 milioni di euro) tornerebbero a crescere, consolidando l’importanza di questa destinazione.

NEL FRATTEMPO

Nel caso andasse in porto l’ipotesi ad oggi più plausibile, ovvero la proroga al 30 giugno della Brexit – conclude Ambrosi è imperativo impiegare efficacemente questo periodo, lavorando per ottenere l’abbattimento del 100% dei dazi e garantire l’attuale protezione delle nostre Indicazioni Geografiche”.

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