Chiusure domenicali, le posizioni restano distanti

Alla ripartenza delle audizioni alla Camera, la contrarietà dei centri commerciali è ancora totale mentre i Comuni vogliono avere voce in capitolo. Previste 20 nuove audizioni
Chiusure domenicali, le posizioni restano distanti

Che fine ha fatto il progetto di legge sulle chiusure domenicali fortemente voluto dal governo? Lo scorso aprile, lontano dai riflettori, sono ripartite le audizioni davanti alla commissione Attività produttive della Camera dei Deputati dopo che il primo testo, scaturito dalla penna del relatore Andrea Dara della Lega (che ha cercato di sintetizzare i cinque disegni di legge depositati), era stato stoppato con un certo vigore dai gruppi parlamentari, che avevano deciso un nuovo ciclo di audizioni. Nel primo giro sono state una quarantina mentre ora ne sono previste venti, di cui cinque già espletate e tra queste quelle dell’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) e del Cncc (Consiglio nazionale dei centri commerciali), di un certo peso specifico. Ovvero politica locale e affari, che restano su posizioni distanti anche in questo secondo giro di consultazioni che dovrebbero continuare fino a giugno inoltrato.

LE RICHIESTE DEI COMUNI

Per l’Anci, infatti, una regolamentazione delle aperture, che superi la liberalizzazione completa introdotta per la prima volta col governo Monti nel 2011, è auspicabile, purché si identifichi “una cornice di riferimento e dei limiti flessibili entro i quali gli enti locali possano muoversi” per adattarsi alle esigenze dei singoli territori e di tutti gli attori che in essi operano, ma prevedendo una regia a livello regionale per evitare la concorrenza tra comuni e per non penalizzare le aree a maggior vocazione turistica. Inoltre, “al netto dell’impatto sulle vite dei lavoratori, sui consumi e sull’occupazione, la liberalizzazione degli orari ha comportato una serie di modificazioni nelle abitudini quotidiane, nell’organizzazione del lavoro, dei trasporti, che hanno inciso profondamente sul funzionamento e la vivibilità delle città, a prescindere dalla loro dimensione” sottolinea l’associazione. “Oltre a comportare una necessaria ridefinizione delle dinamiche di organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici correlati (trasporti, pulizia strade, gestione rifiuti, servizi di polizia locale), si sono generati fenomeni – legati in particolare agli esercizi di vendita del settore alimentare o misto nelle zone del territorio comunale interessate da fenomeni di aggregazione – che pregiudicano il diritto dei residenti alla sicurezza o al riposo e di conseguenza rendono necessario prevedere la possibilità, per i sindaci, di limitare l’apertura serale/notturna di questi esercizi”. I Comuni hanno quindi ribadito di voler tornare a gestire autonomamente le leve del commercio, anche per gestire l’ordine pubblico, cosa che per per il mondo della distribuzione è impensabile per evitare le complicazioni aziendali e organizzative che da ciò deriverebbero, soprattutto per le grandi catene con centinaia di punti vendita sul territorio.

CENTRI COMMERCIALI CONTRO LE CHIUSURE DOMENICALI

Il Consiglio nazionale dei centri commerciali, che riunisce tanti attori di questa filiera della distribuzione, ha invece ribadito la sua posizione fortemente contraria alla fine della liberalizzazione. Molte le motivazioni messe sul tavolo per convincere la maggioranza di governo a desistere dallo scrivere la norma sulle chiusure domenicali. Chiudere le domeniche e i festivi, dice il Cncc, potrebbe comportare una perdita di ricavi fin oltre 12 miliardi di euro per il sistema dei centri commerciali, ovvero il 18% del giro d’affari diretto complessivo, oltre ad altri 12 miliardi di indotto e fino a 41 mila posti di lavoro diretti, soprattutto fra donne e giovani. Cosa che costerebbe allo Stato oltre 4,5 miliardi di euro tra imposte dirette e indirette che verrebbero a mancare perché sarebbe impossibile recuperare le vendite negli altri giorni. Ci sarebbe, secondo questa analisi, una componente ‘d’impulso’ negli acquisti domenicali che verrebbe a mancare, annullando le potenziali vendite. Le quali, è la tesi del Cncc, finirebbero per essere assorbite dall’e-commerce con tutto ciò che ne consegue a livello di problematiche di lavoro, fiscali, di origine dei prodotti ormai ben note.

I RISVOLTI SOCIALI

Dal punto di vista sociale, invece, “in molte periferie italiane i centri commerciali sono l’unica piazza dove le famiglie, soprattutto la domenica, possono trascorrere piacevolmente il proprio tempo libero”. Un luogo di aggregazione positivo “per circa 4 – 6 milioni di visitatori”, secondo giorno, dopo il sabato, per numero di presenze. Tutto ciò crea molta preoccupazione nel settore, tanto che nel primo trimestre del 2019, secondo i dati Cncc, gli investimenti del settore in Italia sono letteralmente crollati, in attesa di capire cosa succederà. Per approfondire meglio queste dinamiche i centri commerciali chiedono che sia coinvolto nella fase di discussione anche il Ministero dell’Economia.

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