La crisi del ‘Parma’

Il re dei prosciutti è in difficoltà: la nostra analisi sui motivi della crisi e qualche proposta per risolverla - di Paolo Dalcò
La crisi del ‘Parma’

La bellissima campagna pubblicitaria sul prosciutto di Parma, che suscita emozioni e comunica notorietà di marca, forse sarebbe stata più adatta negli anni ’80. Oggi il re dei prosciutti è già molto conosciuto e gode di un’alta brand awareness; semmai, il problema che ha da risolvere è quello del prezzo di vendita. In promozione viene venduto a un prezzo pari anche alla metà di quello di un salame di Felino. La strategia perseguita dal Consorzio di tutela suscita qualche perplessità visti i risultati: con un bilancio di oltre 13 milioni di euro finanziati dai produttori, il Consorzio del Prosciutto di Parma dovrebbe, a nostro avviso, seguire quello che stanno facendo quelli del Consorzio del Parmigiano Reggiano con la nuova presidenza di Nicola Bertinelli. Hanno attuato politiche di estremo rigore sul fronte del controllo della qualità e diversificato i mesi di stagionatura, con il risultato di riuscire a vendere il re dei formaggi a un euro (anche 1,50) al kg in più rispetto al prezzo che aveva prima di queste azioni. Tutti sono soddisfatti, e anche quelli del Grana Padano stanno pensando di mettere in campo soluzioni simili per alzare la qualità e il prezzo di vendita del loro formaggio. Ma torniamo al ‘Parma’, al re dei prosciutti. Diversi produttori non riescono a pagare i fornitori di materie prime e per questo motivo molte aziende sono state messe sul mercato, ma pochi sono interessati a comprarle. Le banche stanno chiudendo i rubinetti e alcuni macellatori stanno acquistando partecipazioni dai loro clienti insolventi convertendo il credito in azioni. Un processo, questo, in atto ormai da alcuni anni: ma i nodi prima o poi vengono al pettine. E non è sufficiente vivere di spot e di emozioni. Continuare a produrre sempre più prosciutti esteri, anche se con questi si guadagna di più che a stagionare le cosce nostrane lavorate, per il prosciutto di Parma non è la soluzione a medio lungo termine. Altrimenti il rischio è ritrovarsi a svendere i prodotti (come sta avvenendo) con i magazzini pieni di prosciutti invenduti. La legge della domanda e dell’offerta è sempre la stessa. Ma come si risolve il problema? Forse la comunicazione del brand andrebbe spinta soprattutto sui mercati esteri, dove il Parma viene molto richiesto da Gdo e consumatori che non sempre hanno le idee chiare su origine e qualità del prodotto. Altra soluzione (a dire il vero in corso da anni, anche se i risultati si fanno attendere) consisterebbe nello stagionare meno prodotti, perché il mercato non li sta chiedendo: riducendo la quantità, il prezzo dovrebbe salire. Quel che è certo è che non ha più molto senso investire risorse ed energie su promozioni e festival organizzati a Langhirano e a Parma, dove il prodotto è già notissimo, anziché andare in giro per il mondo a farlo conoscere e apprezzare.
La città di Parma nel 2020 sarà capitale italiana della cultura. È un peccato vedere come uno dei suoi prodotti di eccellenza, e di conseguenza l’intero comparto che lo produce, stiano navigando in cattive acque. Il Consorzio non può non dare risposte concrete in merito. In chiave costruttiva, Food propone a tutti gli attori della filiera di organizzare un momento di dibattito e riflessione su strategie e azioni concrete da mettere in atto per uscire dallo stallo. Prima che sia troppo tardi.

Paolo Dalcò

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