Una nuova politica agricola

I 5,7 miliardi di euro stanziati quest’anno per il settore agricolo, 4,2 dalla UE e 1,5 dal governo italiano, dovrebbero contribuire a disegnare un nuovo modello di sviluppo. Dopo il focus sul bio, Paolo Dalcò avanza una riflessione sulla politica agricola europea e italiana

La strategia della UE (Unione Europea) punta all’innovazione e alle biotecnologie sostenibili, per curare le piante con la genetica e non solo con la chimica”. Lo sostiene Paolo De Castro, coordinatore S&D della Commissione Agricoltura della UE che precisa: “Una nostra valutazione prevede un taglio del 15% della produttività nel caso di applicazione totale delle strategie Farm to fork e Biodiversità. Sui campi nessuno vuole più utilizzare fitofarmaci o fertilizzanti, ma non possiamo lasciare le nostre coltivazioni in balia delle fitopatie. La risposta è già a portata di mano: scienza e biotecnologia sostenibile hanno sperimentato tecniche di evoluzione assistita per produrre di più con meno risorse“. Ma una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2018 equipara, dal punto di vista normativo, le biotecnologie sostenibili, basate sull’incrocio della stessa specie, agli Ogm (Organismi geneticamente modificati). Visto che l’85% degli italiani non vuole i prodotti Ogm sarà difficile spiegare la differenza che esiste fra questi e le biotecnologie sostenibili. De Castro non si arrende e vedremo se riuscirà a vincere anche questa battaglia.

Il logo biologico

L’alternativa sarà dare più spazio alle coltivazioni biologiche. Dal 1º gennaio 2021 cambierà l’attuale normativa in materia di prodotti biologici. Per meglio garantire la concorrenza fra gli agricoltori. E prevenire al contempo le frodi, che sono davvero tante, a danno dei consumatori. Bisogna rafforzare il sistema dei controlli grazie a misure precauzionali più rigorose e a verifiche più approfondite lungo tutta la catena di approvvigionamento. In particolare i produttori dei paesi terzi, dove si registrano le frodi maggiori, dovranno rispettare le stesse norme di quelli che operano nell’UE. Norme che copriranno una gamma più ampia di prodotti come, per esempio, il sale, la cera d’api, il mate, le foglie di vite, i cuori di palma e anche norme supplementari per gli allevamenti di conigli e il pollame. Sarà adottato anche un nuovo sistema di certificazione e un approccio più uniforme per ridurre il rischio di contaminazione accidentale da pesticidi. Infine, le nuove norme dovranno favorire il benessere degli animali. L’intento è quello di soddisfare la domanda di prodotti biologici affidabili da parte dei consumatori, creando al contempo un mercato equo per gli agricoltori e i distributori. Dato che l’agricoltura biologica fa parte di una catena di approvvigionamento più ampia, che comprende il settore della trasformazione, della distribuzione e della vendita al dettaglio di prodotti alimentari, anche questi ultimi saranno soggetti a controlli. Il logo biologico della UE sarà applicato sulle confezioni di prodotti certificati da un organismo o da un’agenzia di controllo autorizzato.

Ma il bio, anche se crescerà, resterà sempre una nicchia rispetto alle coltivazioni convenzionali. In questo campo l’uso di pesticidi e di fertilizzanti andrebbe rivisto, eliminando alcune sostanze considerate dannose per l’ambiente e per i consumatori, per non dire addirittura potenzialmente cancerogene. Le lobby dei produttori chimici hanno prevalso, rispetto agli enti e alle commissioni preposte per rivedere le norme e i controlli a tutela dell’ambiente e dei consumatori. La stessa politica agricola della UE ha privilegiato spesso la logica dell’assistenzialismo agli agricoltori e agli allevatori, in alternativa a una politica di sviluppo del settore. Politica che invece è stata perseguita in Spagna con gli oliveti, in Francia con i vigneti e gli allevamenti di vitelli, in Germania con gli allevamenti di suini e di mucche da latte. Per non parlare dell’Olanda che oggi è il Paese all’avanguardia in Europa per molte coltivazioni e allevamenti. Mentre in Italia abbiamo incentivato la chiusura di molte stalle e l’abbandono delle coltivazioni delle barbabietole, per fare due esempi, e oggi ne paghiamo le conseguenze in termini di costi per il latte e per lo zucchero. Ma qualcosa sta cambiando. Grazie, per esempio, a Ferrero, Barilla, Eurovo, Mutti, Amadori, Alce Nero, Melinda, Conserve Italia, Orogel, Apofruit, Granarolo, molte aziende agricole sono ritornate a produrre in Italia nocciole, grano, pomodoro, frutta, verdura oltre ad allevare polli, galline ovaiole e mucche da latte. Diverse aziende agricole hanno scelto di produrre frutta e verdura, soprattutto biologica, e di venderla direttamente nei mercatini rionali o per le mense scolastiche. I consumatori italiani preferiscono i prodotti del nostro territorio che giudicano di qualità migliore. Una percezione, questa, che dobbiamo cercare di confermare migliorando continuamente le nostre produzioni.

Serve adottare una nuova politica agricola in Italia e anche comunitaria. Oggi sono stanziati dalla UE, per la nostra agricoltura, 4.2 miliardi di euro ogni anno. Pesano circa il 50% di tutti i contributi europei che riceve l’Italia. Ricordo che siamo il quarto contributore netto del bilancio comunitario ma prendiamo sempre alcuni miliardi in meno rispetto a quelli che versiamo. Soprattutto per nostre inefficienze e burocrazia. La Pac, (Politica agricola comune), per molti è una manna. Il Fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga) infatti finanzia le spese più disparate in tema di agricoltura: dalla ristrutturazione dell’industria dello zucchero ai pagamenti diretti ai coltivatori. Viene gestito direttamente dal Ministero a Roma che poi suddivide il budget tra i vari enti locali che ne fanno richiesta. Mentre il Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) che pesa circa 1,2 miliardi di euro viene gestito direttamente dalle regioni. Nella graduatoria la Campania e la Sicilia sono le due regioni che prendono più soldi a fondo perduto. Un’altra voce consistente dei finanziamenti europei è il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr). Incide il 20% sul totale e pesa circa 1,8 miliardi di euro. Sono contanti che vanno a sostenere le politiche industriali e infrastrutturali e vengono erogati a regioni, amministrazioni centrali e multi-regionali. Il Mezzogiorno, con le regioni Puglia, Sicilia, Campania e Calabria, percepisce i maggiori contributi che, ricordiamolo, sono sempre soldi erogati a fondo perduto. Altro grosso pacchetto è il Fondo sociale europeo (Fse) da circa 1,2 miliardi di euro ogni anno stanziato per “rafforzare la coesione economica e sociale migliorando le possibilità di occupazione e di impiego”. Infine i programmi Ocm per il vino: sono stati stanziati oltre 11 miliardi di euro negli ultimi 9 anni cioè circa 1,2 miliardi ogni anno, per l’80% a fondo perduto, per la viticoltura italiana. Sono pari a circa 10 milioni di euro per milione di ettolitri di prodotto per anno. L’Italia è stata, ed è una grande beneficiaria in proporzione alla rilevanza della sua produzione in ambito europeo, mentre i francesi hanno preso molto meno rispetto al loro peso produttivo. Questo a livello statistico perché, conti alla mano, sono diverse le industrie vinicole in Italia che, tramite aziende agricole controllate, percepiscono ciascuna decine di milioni di contributi vari Ue, statali e regionali. Contributi che sono serviti, per esempio, a far conoscere e decollare il Prosecco sui mercati internazionali, grazie a campagne pubblicitarie che hanno utilizzato il brand delle case vinicole italiane. Azione questa che sarebbe bene estendere anche all’olio e ad altre categorie. Mentre le pubblicità, che sono state fatte senza i loghi delle imprese, non hanno dato alcun risultato. Più risorse andrebbero investite sui consorzi di prodotti tipici che si propongono sul mercato con campagne di comunicazione. Anziché investire risorse in attività di promozione, con scarsi risultati e con pochi controlli sulla loro esecuzione, visto che la UE si accontenta di ricevere una relazione scritta. Altri aiuti comunitari sono destinati per sostenere le persone bisognose. In questo caso l’UE paga alcuni produttori per acquistare prodotti trasformati che sono poi destinati alle associazioni religiose e del volontariato.

Non mettiamo in discussione tutte le risorse dedicate al comparto agricolo da parte dell’UE, ma è necessario, per non dire indispensabile, che siano meglio investite. Come per esempio verso i giovani agricoltori che hanno aperto aziende agricole. Anche in questo caso, però, andrebbero fatti controlli più severi. Confessa l’assessore all’agricoltura di un’importante regione italiana: “Abbiamo dato contributi a fondo perduto a molti giovani agricoltori per aprire nuove imprese agricole. La maggior parte ha richiesto soldi per acquistare droni o aprire agriturismi. Nessun progetto per aprire una stalla o per fare coltivazioni sui campi. È questa la nuova agricoltura?”.

Il governo Conte ieri ha stanziato 55 miliardi di euro per il Decreto Rilancio dell’Italia. Di questi soldi 1,5 miliardi sono destinati al sostegno dell’agricoltura. In particolare per sanare la posizione dei migranti. Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti ha precisato: “Nei campi servono 200 mila persone, mentre saranno poche quelle che provengono dalla sanatoria e saranno pronte per fine settembre, quando nei campi sarà rimasto ben poco da raccogliere. Bisognerebbe aprire i corridoi verdi per i lavoratori europei e stanziare voucher per pagarli. Interessante è invece la possibilità di impiegare le persone in agricoltura che oggi prendono il reddito di cittadinanza o che sono in cassa integrazione, senza perdere il sussidio. Questa riforma avrà i suoi effetti più avanti. Ora servirebbe che i 5,7 miliardi di euro stanziati quest’anno, 4,2 dalla UE e 1,5 dal governo Conte, servissero per disegnare un nuovo modello di sviluppo, una politica di settore. Perché spendere è cosa diversa da investire. Dare i soldi non a tutti, ma solo agli agricoltori che investono in alcuni settori prioritari e strategici, come per esempio le colture e gli allevamenti biologici, gli allevamenti e colture anche convenzionali che servono all’industria alimentare. Oltre a destinare risorse alle imprese che subiscono danni dovuti alle intemperie ambientali. Rivedendo anche le tassazioni alle imprese agricole. Allontanando i condizionamenti delle lobby dell’industria chimica. E anche le infiltrazioni mafiose in agricoltura, presenti in diversi allevamenti e vigneti nel sud d’Italia. Perché l’Italia non è più il Paese di Bengodi. Boccaccio, nella sua opera, lo aveva descritto come un luogo immaginario. Ma in Europa, e in Italia in particolare, finisce per essere fin troppo reale.

Paolo Dalcò
Paolo Dalcò
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