Retail: le sfide post Covid

Il rapido mutamento di scenario rende ancora più accesa la competizione nel comparto distributivo. Rischiando di acuire le differenze tra format e player in termini di prospettive di sviluppo e performance finanziarie

Per decine milioni di italiani costretti a casa durante la pandemia da Covid, il supermercato è stato il maggiore punto di contatto col mondo esterno. Sigarette e farmaci a parte, la spesa alimentare è stata infatti l’unica attività permessa a coloro che non avevano altri motivi – lavorativi, medici – per dover uscire di casa. La grande distribuzione ha catalizzato quindi un’attenzione sicuramente inusuale nella vita dei cittadini italiani, complice anche la chiusura di tutte le attività di ristorazione, che hanno potuto lavorare per molte settimane solo in modalità take away, se attrezzate per farlo.

Corollario di questa forte restrizione personale è stata l’esplosione del commercio elettronico alimentare. Una vera scoperta per moltissimi italiani, più abituati a utilizzare i servizi di food delivery che non la spesa online, tanto che le stesse piattaforme si sono rivelate assolutamente insufficienti a gestire la crescita della domanda per mancanza di una infrastruttura tecnologica e logistica adeguata. Peraltro, l’arrivo dell’e-commerce sulla scena alimentare è stato così dirompente che alcune aziende produttrici hanno messo in piedi un loro canale di vendita digitale ‘direct to consumer’ che valorizzi in qualche modo la forza del brand.

L’ANDAMENTO DELLE VENDITE

Cosa ha significato tutto ciò per la grande distribuzione nostrana, se dai fatti si passa ai numeri? Fino alla prima metà di aprile 2020 le vendite della Gdo alimentare hanno segnato incrementi attorno al 10%, con punte del 30% per i prodotti confezionati. Performance assolutamente straordinarie per il settore retail italiano, che viaggia da anni con trend decisamente più modesti, anche negativi in qualche caso. Dati che, spiegano gli analisti dell’Area Studi di Mediobanca nel loro Osservatorio sulla Gdo pubblicato lo scorso maggio, hanno un’assonanza con l’andamento economico dei maggiori retailer internazionali quotati nel primo trimestre dell’anno, i cui ricavi sono cresciuti in media del 9,1%.

Non tutti hanno, però, beneficiato in eguale misura delle maggiori vendite nel periodo caratterizzato dall’emergenza Covid più acuta. Perché ogni insegna ha la sua specificità di formato, assortimento e posizionamento di prezzo, che si rifletterà sui conti di fine anno. Sono cresciuti a doppia cifra i piccoli punti vendita del libero servizio, i discount e i supermercati. Le grandi superfici (ipermercati), già colpite da una crisi strutturale pluriennale, hanno subìto un’ulteriore marginalizzazione. La sospensione delle vendite di tutti i prodotti non food, la localizzazione spesso decentrata che richiedeva l’uso dell’auto e sovente il superamento dei confini comunali, l’ubicazione all’interno di gallerie commerciali deserte, sono stati fattori realmente frenanti nelle settimane di blocco. Molto negativo, ma scontato alla luce della chiusura dell’Horeca, l’andamento dei cash & carry, che hanno riportato flessioni settimanali dall’inizio di marzo con punte vicine al 50 per cento.

IL CONSOLIDAMENTO CONTINUERÀ

Cosa lascerà in eredità questo periodo eccezionale per la grande distribuzione italiana? La crescita delle vendite che sarà possibile acquisire nel 2020 – pur con le differenze tra insegne – frenerà, almeno per qualche tempo, quelle forze che stanno portando a una concentrazione, razionalizzazione e ridefinizione dei ruoli sul mercato, culminata con la storica uscita dell’insegna Auchan che ha preferito abbandonare dopo le enormi perdite di bilancio? Oppure le differenze che si sono vistedurante l’emergenza Covid, unite al cambiamento di abitudini del consumatore che sempre più potrebbe rivolgersi all’e-commerce, richiederanno una ridefinizione delle attività, un aumento degli investimenti e una necessaria fase di aggregazioni per chi non sarà in grado di sostenerli? Secondo Mediobanca potrebbe essere questa seconda ipotesi quella giusta: “L’esigenza di finanziare importanti investimenti e quella di praticare prezzi convenienti riassorbendo i rincari della filiera o negoziando migliori condizioni di approvvigionamento, inducono a ritenere che il processo di consolidamento dell’industria italiana della Gdo possa subire un’accelerazione ad opera dei soggetti, italiani o stranieri, economicamente e patrimonialmente più solidi”.

Negli ultimi dieci anni, stando alle evidenze di Mediobanca (su dati Federalimentare e altri), si è assistito a due fenomeni molto vistosi. Il primo è quello della crescita numerica dei punti di vendita discount, saliti del 24% in 10 anni, mentre il secondo è il calo dei negozi del libero servizio (con superficie compresa tra 100 e 400 metri quadri), dove l’erosione è stata del 26 per cento. Pressoché stabili supermercati, superstore e ipermercati.

È quindi plausibile che il successo dei discount nel periodo Covid possa accelerare un trend già positivo in una fase congiunturale molto severa. Per il libero servizio di piccole dimensioni, altro format premiato dai consumatori, potrebbe essere invece l’inizio di una nuova primavera e fa riflettere che un’insegna che non lo ha mai sviluppato come Esselunga lo stia ora testando mediante la nuova insegna laEsse, seppure con una formula molto particolare, che coniuga prossimità, ristorazione ed e-commerce. Anche i supermercati si sono ben comportati, mentre per gli ipermercati i tempi si fanno sempre più difficili e forse non è più rimandabile una presa di coscienza da parte delle catene maggiormente esposte.

E poi l’e-commerce alimentare, con gli operatori subissati di richieste durante la pandemia e una crescita che nel 2020 sarà di molto superiore a quella stimata per il 2019, pari al +39% per un giro d’affari pari a 1,6 miliardi di euro. Ovvero un’incidenza dell’1% sul totale delle vendite retail nel settore alimentare e del 5% della domanda e-commerce italiana (pari complessivamente a 31,5 miliardi nel 2019, +15% rispetto al 2018).

IL COVID E L’INCIDENZA DELL’E-COMMERCE

Le catene di supermercati presenti in Italia sapranno cogliere adeguatamente questo fenomeno cavalcandolo con la giusta professionalità e i corretti investimenti anche quando l’emergenza Covid sarà alle nostre spalle? I dati snocciolati da Mediobanca evidenziano che vi sono differenze anche molto ampie nei maggiori operatori, con Supermarkets Italiani (Esselunga) che ha dichiarato vendite online nel 2018 per 236 milioni di euro (3% del fatturato), mentre in Coop Alleanza 3.0 il dato si attesta allo 0,05% delle vendite.

Gli analisti sottolineano che catene estere come Carrefour e Walmart sviluppano tra l’1 e il 2% di vendite e-commerce; Ahold Delhaize, Casino, Target, Migros e Coop Group sono tra il 5% e l’8%, mentre è assai elevata l’incidenza della britannica Sainsbury’s, che tocca il 16,2 per cento.

Esselunga sarebbe quindi già ben posizionata per cogliere le opportunità di questo nuovo approccio alla spesa alimentare di una parte degli italiani, con la formula Supermercato24 (la gig economy applicata alla spesa al supermercato) che potrebbe avvantaggiarsi fornendo servizi sempre più capillari alle insegne che non possono investire massicciamente nello sviluppo di un e-commerce al passo con i tempi e le ambizioni di colossi come Amazon, il concorrente numero uno.

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