Unionfood: la guerra non mette a rischio la pasta italiana

Nel 2021 il grano russo ha rappresentato meno dell’1% del fabbisogno totale dei pastai, ma la corsa di energia e petrolio rischia di mettere in ginocchio un settore che dà lavoro a oltre 10mila persone

La guerra non ha riflessi di sorta sulla produzione di pasta italiana e non impatta direttamente sui prezzi del primo piatto preferito dagli italiani. Lo affermano i pastai di Unione Italiana Food, sottolineando che dall’Ucraina non è stato importato grano duro nel 2021, mentre quello arrivato dalla Russia nello stesso periodo rappresenta meno del 3% delle importazioni e meno dell’1% sul fabbisogno totale dei pastai.

L’Ucraina è peraltro tra i principali produttori di grano tenero. “La confusione tra queste due materie prime – spiega Luigi Cristiano Laurenza, Segretario dei pastai italiani di Unione Italiana Foodha alimentato un flusso di informazioni contraddittorie nei giorni scorsi. Era necessario fare chiarezza per non creare preoccupazione e allarmismo tra i consumatori”.

UN SETTORE IN CRISI

Oltre al grano tenero, ricorda Unionfood, a essere interessati dal conflitto sono anche altre materie prime agricole come mais o soia. “In un’economia globale le oscillazioni di una commodity trascinano inevitabilmente le altre, per questo non possiamo purtroppo escludere che il conflitto possa avere effetti indiretti anche sulla pasta”, afferma Laurenza. Il comparto, che conta 120 aziende che danno lavoro a oltre 10.000 persone, sta attraversando una crisi senza precedenti. Il prezzo del grano duro è stabile da qualche settimana, ma viene da un aumento dell’80% negli ultimi 12 mesi per l’effetto combinato dei cambiamenti climatici, della speculazione internazionale e della corsa all’accumulo di beni essenziali da parte di alcuni Stati. Senza contare che al rincaro delle materie prime si sono accompagnati, negli ultimi 6 mesi, aumenti dei costi di energia (con un’inflazione in Ue sugli energetici di oltre il 28% da inizio anno), petrolio (ai massimi dal 2014) e materiali da imballaggio, che ha costretto le aziende a una serie di sforzi per fronteggiare gli inevitabili aumenti in termini di costi di produzione e di prezzo del prodotto a scaffale.

LO SCIOPERO DEI TRASPORTATORI

Tutto questo senza dimenticare che, per lo sciopero dei trasportatori, a febbraio alcune aziende sono state costrette a chiudere temporaneamente le proprie linee di produzione per mancanza delle materie prime o per impossibilità di consegnare il prodotto finito. Una contingenza che ha causato danni per milioni di euro non solo alle imprese, ma a tutto il tessuto sociale che ruota attorno al ‘sistema-pasta’.

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