L’export dei formaggi italiani cresce verso tutte le destinazioni

I dati di Assolatte sulle vendite estere nel 2022: superate le 550.000 tonnellate, per un fatturato vicino ai 4,2 miliardi di euro

L’export continua a trainare lo sviluppo del dairy nazionale. Nel 2022, le esportazioni complessive di formaggi italiani hanno superato 550.000 tonnellate (+6%), per un fatturato vicino ai 4,2 miliardi di euro (+19%). “Abbiamo ‘bruciato’ anche i numeri del 2021, quelli che ritenevamo essere un record irripetibile, con un ottimo risultato raggiunto peraltro in un contesto incredibilmente sfavorevole che ha coinvolto produttori e consumatori di tutto il mondo”, commenta il Presidente Assolatte Paolo Zanetti.

I MERCATI PRINCIPALI

Nonostante un’inflazione a due cifre, il 2022 è stato infatti un anno di vendite a volume in incessante crescita verso molti paesi, sia europei sia extra europei. Spiccano in particolare la Spagna (+19%), divenuta il terzo mercato in area Ue, la Francia (+12%), i Paesi Bassi (+14%), la Polonia (+17%) e la Svezia. In area extra-Ue, invece, volumi da primato e tassi di incremento tra il +20% e il +30% in Canada, Giappone, Cina e Arabia Saudita. Con 120.000 tonnellate, la Francia si conferma nuovamente il primo mercato per i formaggi italiani.

E mentre al Dubai World Trade Center è in scena la 28esima edizione Gulfood, evento fieristico di portata internazionale, Assolatte sottolinea le buone performance dei formaggi italiani nei paesi del Medio Oriente. Emirati Arabi Uniti (con 2.300 tonnellate eportate nel 2022) e Arabia Saudita (1.700) sono entrati nella nuova top-10 delle destinazioni extra europee.

LA TUTELA DELLE INDICAZIONI GEOGRAFICHE

Questo successo dell’export deve molto anche agli accordi commerciali dell’Ue con i paesi extra-UE, che prevedono il riconoscimento delle indicazioni geografiche, i contingenti tariffari e la rimozione delle barriere daziarie e non daziare. Non è un caso che paesi come Canada, Giappone e Cina siano ormai diventati mercati strategici per l’export italiano.

Proprio il riconoscimento delle indicazioni geografiche, d’altra parte, è oramai la conditio sine qua non che la Commissione europea pone per la stipula di qualsiasi negoziato. “La valorizzazione dei prodotti Dop e Igp è un punto di forza anche nei confronti di quelle intese che, per altri aspetti, suscitano perplessità o timori”, sottolinea Zanetti. “Come l’accordo in corso di ratifica con la Nuova Zelanda, un paese con un mercato interno troppo piccolo per risultare appetibile, ma al contempo grande competitor dell’Ue nella produzione ed esportazione di latte e derivati”.

La Nuova Zelanda, sottolinea Assolatte, è il terzo esportatore mondiale dopo Stati Uniti e Unione europea. Della sua produzione fanno parte molti formaggi “italian ed european sounding”, che esporta in grandi quantità verso i paesi asiatici. “È quindi evidente la necessità di un accordo di riconoscimento delle denominazioni protette”.

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