È ancora allarme per il comparto dell’olio evo

Mentre la campagna olearia si conferma negativa a livello internazionale, i prezzi lungo la filiera restano di conseguenza molto alti. E si teme un calo strutturale dei consumi
È ancora allarme per il comparto dell’olio evo

La recente Giornata mondiale dell’Olivo è stata l’occasione per fare il punto su un anno molto difficile per l’olio extravergine italiano dal punto di vista sia della raccolta, sia dei prezzi lungo tutta la filiera dalle borse merci agli scaffali della Gdo. Nel nostro paese, che può contare su 533 varietà di olive, 250 milioni di piante, 42 Dop e 7 Igp, la produzione di olio evo quest’anno è stimata sulle 290 mila tonnellate. Un dato sotto la media dell’ultimo quadriennio, frutto della crescita produttiva del Sud (+34%, con il +50% della Puglia), cui purtroppo fa riscontro il forte calo del Centro-Nord Italia (-33%), secondo le previsioni Coldiretti, Ismea e Unaprol.

A complicare la situazione sono i risultati molto negativi della campagna olearia in altri mercati-chiave. La Spagna, al secondo anno di durissima siccità, non andrà oltre le 765 mila tonnellate (contro 1,5 milioni degli anni “regolari”), la Grecia scende a 200 mila tonnellate (erano 350 mila nel 2022), la Turchia a 280 mila tonnellate (circa 100 mila in meno rispetto all’ultimo raccolto). In controtendenza solo la Tunisia, appena sopra le 200 mila tonnellate, più delle 180mila del 2022 e a un passo dalle 228mila della media degli ultimi cinque anni.

IMPORT E COSTI IN CRESCITA

Questi dati vanno inquadrati in un contesto decisamente preoccupante. La produzione nazionale non è sufficiente a soddisfare sia la domanda per consumo interno, sia le esportazioni. E così dobbiamo ricorrere all’importazione, che secondo l’elaborazione di Coldiretti su dati Istat, nel 2022 hanno superato i 2,2 miliardi di euro, con un ulteriore aumento vicino al +20% nel primo semestre di quest’anno. Una dipendenza che si è inevitabilmente riflessa sui prezzi. Nell’analisi di Altroconsumo, se a inizio anno il prezzo medio dell’olio evo si attestava sui 5,62 euro/litro, ad agosto ha segnato un ulteriore +30% a 7,21 euro (+42% vs agosto 2022 e addirittura +61% vs fine estate 2021). Ismea rileva che il 17 novembre scorso sulla piazza di Firenze l’olio evo di provenienza spagnola segnava i 7,75 euro/kg, mentre quello italiano non scendeva sotto gli 8,05 euro/kg su quella di Foggia e l’evo Dop Garda toccava i 15,50 euro/kg a Verona.

IL SOTTOCOSTO HA EROSO I MARGINI

In un contesto ancora così instabile, le organizzazioni di settore stanno facendo sentire la loro voce. Coldiretti e Unaprol hanno messo in cantiere, grazie alle risorse del Pnrr, un accordo di filiera per aggiungere un milione di nuove piante di olivo lungo la Penisola e aumentare la produzione, riducendo così la dipendenza dall’estero. Dal canto suo Anna Cane, Presidente del gruppo olio d’oliva di Assitol, richiama l’attenzione sulla piaga delle vendite sottocosto che ha afflitto per lunghi anni il settore, mettendo a rischio la sostenibilità economica della filiera e assottigliando i margini degli operatori. Senza contare che il forte aumento dei prezzi a scaffale rischia di orientare gli acquisti degli italiani verso altri prodotti. Ecco perché è il momento di “marcare la differenza” tra l’olio evo e altri grassi e condimenti, sostenendo il consumo di olio evo Dop e Igp, non a caso una delle componenti fondamentali della dieta mediterranea.

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