La crisi del ‘Parma’/2

Anche il miglior prodotto, offerto con un ottimo servizio e venduto a basso prezzo, fatica a essere venduto. Ecco perché vanno cambiate strategie commerciali del Prosciutto di Parma, dinamiche di filiera e politica del Consorzio

L’opinione scritta sulla crisi del Parma ha suscitato molto interesse tra gli operatori del settore. Un importante industriale ci ha confessato che sta pensando di uscire dal Consorzio proprio per i motivi da noi indicati nell’articolo.

Simona Caselli, Assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, persona capace e professionale che ha maturato una lunga esperienza nel mondo Coop, ci ha precisato che “esiste già un tavolo di lavoro fra i diversi attori della filiera per cercare di risolvere il problema” e ha aggiunto che “la responsabilità non è solo del Consorzio e della campagna pubblicitaria in corso e nemmeno del Festival del prosciutto a Langhirano”, dove per la prima volta e per sua specifica richiesta sono stati impiegati contributi regionali con l’impegno di coinvolgere buyer stranieri. Il problema è che ci sono diversi produttori del Parma che producono anche i cosiddetti prosciutti ‘esteri’ e li vendono come prosciutti ‘fatti a Parma’, generando confusione sui mercati. Ha ragione la Caselli ad affermare che la responsabilità non è solo della bella campagna pubblicitaria. La nostra è stata una provocazione per affrontare il problema. Se è vero che si producono alcuni milioni di prosciutti esteri ‘fatti a Parma’ è però chiara la responsabilità degli stessi produttori.

Ma allarghiamo l’obiettivo e cerchiamo di spiegare cosa sta succedendo sul mercato. In alcune catene americane il prezzo di vendita al pubblico del prosciutto di Parma ha prezzi anche inferiori a quelli praticati in Italia. Il motivo è che queste catene ricaricano molto meno sul prezzo di cessione dall’industria rispetto alle catene italiane. E questo avviene anche per il Parmigiano Reggiano. Il risultato è che ci sono prodotti che, nonostante i costi di esportazione, oggi sono venduti a prezzi inferiori negli Usa e in Canada rispetto a quelli della Gdo italiana.

Negli anni abbiamo girato molti salumifici trovando sempre imprenditori seri e appassionati al prodotto e alle loro fabbriche, forse meno preparati sul fronte marketing e vendite. In un importante salumificio di San Daniele abbiamo trovato al lavoro due operatori parmensi preposti a selezionare prosciutti stagionati con il classico osso di cavallo, per poi dividerli in due o anche tre lotti in funzione della qualità. Alla domanda perché si trovavano a lavorare a San Daniele la risposta è stata che a Langhirano e nel Parmense sono pochi i produttori che fanno questo lavoro. Gli addetti alla marcatura marchiano quasi tutto, anche quello che non dovrebbero, e il risultato è che si trovano sul mercato prosciutti che non rispettano il disciplinare, sia come peso sia come qualità. Se alcuni produttori del San Daniele, che stagionano molti meno prosciutti di quelli del Parma, fanno questa ulteriore selezione per differenziare i prezzi di cessione sul mercato in funzione della qualità, perché allora non essere più selettivi e rigorosi anche sul Parma? Un processo, questo, che andrebbe pianificato nell’arco di alcuni anni con una politica rigorosa e con un controllo più severo sui controllori e sui controllati. Allungando anche i tempi di stagionatura a due o tre anni per alcuni prodotti premium e quindi aumentando il valore degli stessi e il prezzo di cessione.

Noi – precisa un piccolo produttore che abbiamo incontrato – vendiamo a non meno di 15 euro al Kg i nostri prosciutti, alcuni anche a 20 euro al Kg e questo è il prezzo di cessione al normal trade, cioè alle salumerie e gastronomie, in quanto abbiamo scelto di non vendere alla Gdo anche se continuano a bussare alla nostra porta. Questo avviene grazie al nostro brand e alla coerenza della nostra azienda. Noi andiamo a selezionare direttamente le cosce nei pochi macelli dove ci serviamo e paghiamo un premio ai macellatori in funzione della qualità ottenuta, mentre quasi tutti i produttori di prosciutti il controllo delle cosce fresche lo fanno all’ingresso degli stabilimenti di lavorazione”. Il problema in realtà non è se fare i controlli delle cosce dai macellatori o all’ingresso delle fabbriche di lavorazione, ma come selezionare meglio le cosce e scartare quelle che non vanno bene. Controlli, questi, che andrebbero fatti anche più a monte della filiera, partendo dagli allevamenti e dal mangime che viene dato ai maiali. Anziché lavorare per ottenere prezzi sempre più bassi come sta avvenendo.

Perché, in quest’ottica, non aprire anche al bio e al biodinamico? Oggi sul web un prosciutto da 4 Kg di Pedrazzoli viene venduto, senza osso, a 136 euro. Demeter ha selezionato un produttore sulle colline del Parmense per avere un prosciutto biodinamico per il mercato tedesco venduto a prezzi da ‘gioielleria’. Stiamo descrivendo la fascia premium e super premium che alcuni allevatori sono in grado di fare se il prezzo viene remunerato per i maggiori costi che avrebbero nell’allevare suini con cibi bio e biodinamici. Ma questa è una nicchia, mentre i volumi si fanno con il prodotto tradizionale che, ricordiamolo, è già un ottimo prodotto che, come conservante, usa solo il sale.

Si potrebbe puntare su tempi di stagionatura diversi, anche di due e tre anni. Alcuni si sono spinti anche a vendere prosciutti di cinque anni, ottenuti da cosce di suino pesante. Generare valore significa differenziare l’offerta in funzione della stagionatura e di conseguenza della qualità del prodotto finale. Oggi i prosciutti di Parma interi sono offerti in promozione presso un ipermercato di Parma con 15 mesi di stagionatura, a 8.90 euro al kg. Presentati da un addetto esperto del salumificio che seleziona i migliori con l’osso di cavallo e consiglia di tenerli altri cinque o sei mesi a stagionare in cantina. Insomma un servizio eccellente per un prodotto eccezionale, ma svenduto a un prezzo che è inferiore anche di tre volte del migliore salame di Felino stagionato tre mesi. E questo è un assurdo. Tanto più se questi prosciutti eccezionali, offerti con un servizio eccellente, non si riescono a vendere nemmeno a 8.90 euro al Kg. Ecco perché secondo noi è indispensabile innescare un profondo cambiamento lungo tutta la filiera e nelle modalità d’azione del Consorzio che tutela la qualità, la comunicazione e la promozione. Prima che sia troppo tardi.

Paolo Dalcò

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