La pandemia scatena le fake news sul food italiano

Da una ricerca d Klaus Davi & Co. condotta con l'appoggio della Commissione Agricoltura alla Camera, è emerso che nel periodo marzo-settembre, le fake news sul cibo italiano siano decisamente aumentate
La pandemia scatena le fake news sul food italiano

Il problema delle fake news è su tutti i fronti. A partire dalla problematica presenza di false notizie circolanti rispetto alla veridicità di questa pandemia, lo stesso approccio si declina in egual misura anche in altri campi, e in particolare sul cibo, dove la sua attuale e diffusa popolarità ne fa da cassa di risonanza.

Secondo una ricerca dell’agenzia di comunicazione Klaus Davi & Co. in collaborazione con Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura alla Camera, da marzo a settembre di quest’anno, si è rilevato un aumento di circa il 33% della mole di fake news circolanti sul web riguardo il cibo italiano. Queste notizie senza fondamento vanno a colpire immancabilmente il settore del food nostrano a 360 gradi e cavalcano l’enorme potenziale di distribuzione che solo i social possono garantire.

Una volta atterrate su piattaforme come WhatsApp o Facebook, e sostenute da like, condivisioni, argomentazioni e commenti, le fake news dilagano e assumono credibilità.

Dal monitoraggio web condotto è emerso che i prodotti più colpiti siano stati la pasta (+37%), i formaggi (+33%), i dolci (+31%), l’olio (+26%), i vini (+23%) e il pane (+18%).

Tra le notizie più diffuse, ecco qualche esempio:

  • “Le vacche non hanno accesso al pascolo e quindi sono ‘depresse’”, notizia relativa al Parmigiano Reggiano. Falso, come dimostrato dall’omonimo Consorzio, non solo viene rispettata la normativa ma viene garantito alle bovine uno stato di salute ottimale essenziale per la produzione della Dop;
  • “A fare ingrassare più della pasta sarebbe il Provolone”. Non è scientificamente provato. Ovvio è che le esagerazioni portano come conseguenza un aumento di peso;
  • “Il Caciocavallo può creare dipendenza come una droga”. Va detto invece che: il Caciocavallo è un cibo ricco di grassi e contiene lattosio, che è uno zucchero. Gli studi in merito sono ancora insufficienti a stabilire con certezza quali siano gli effetti sul cervello, ma certamente non una dipendenza come quella da droghe.
  • “La mozzarella di bufala ha un alto contenuto di colesterolo”. Falso, i suoi valori di colesterolo sono molto più bassi dei formaggi francesi e anche italiani, è anzi ricca di proprietà nutritive e di vitamine;
  • “Non facilita il sonno”. Questo si è detto della Ricotta Romana che invece contiene triptofano, componente utile a innalzare i livelli di serotonina e melanina nel cervello;
  • Mangiare Castelmagno “è controindicato per il rischio osteoporosi”. Affermazione infondata: è una fonte privilegiata di calcio, sia per la notevole quantità presente, che per la sua biodisponibilità;
  • L’Asiago “non è genuino come quello dei nostri nonni contenendo ormoni, agrofarmaci e diossine”. Falso. I controlli da parte dei Consorzi sono strettissimi e il formaggio prima di entrare in commercio viene analizzato. Non ci sono dunque contaminanti dannosi per l’uomo;
  • “Poiché contiene glutine è sconsigliato mangiare il Caprino Veronese”. Falso, uno studio effettuato dal Dipartimento di Scienze Molecolari Agroalimentari (DISMA) della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano ha indicato la categoria dei formaggi tradizionali come idonea ai celiaci. Tra questi anche il Caprino;
  • “Il Pecorino Romano contiene lattosio”. Falso, il Pecorino Romano è un formaggio “naturalmente privo di Lattosio”, conseguenza naturale del tipico processo di ottenimento del Pecorino Romano. Per questa sua peculiarità può essere inserito in modo sicuro nella dieta di persone che soffrono di intolleranza al lattosio essendo lactose free;
  • “Mangiare Grana Padano può essere rischioso poiché potrebbe essere contaminato da Covid-19”. Falso, le condizioni biologiche di stagionatura di questa eccellenza, come di ogni altro prodotto stagionato, inattivano ogni virus.

La ricerca individua tra le donne le principali ‘conduttrici’ di notizie infondate, che con il loro 65% battono di gran lunga gli uomini (35%). Inoltre, anche la fascia dei teenager che utilizza qualsiasi tipo di social, è diffusore naturale di enormi carichi di notizie, di ogni genere.

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