Carne o non carne? Risolto il dilemma

Dopo 3 giorni di Plenaria, il Parlamento Europeo ha messo la parola fine alla discussione sulla denominazione da utilizzare per i sostituti vegetali
Carne o non carne? Risolto il dilemma

“Ceci n’est pas un steak”. Il Parlamento Europeo, riunitosi dal 20 al 23 Ottobre a Bruxelles, esattamente dodici mesi dopo che noi di Food avevamo espresso la necessità di un aggiornamento semantico per il comparto plant-based (vedi Cover Story di Food Ottobre 2019) ha votato contro l’approvazione di due emendamenti (165 e 171) che riguardano la denominazione delle alternative vegetali ai prodotti a base di carne e sulle denominazioni possibili per i sostituti vegetali delle referenze casearie.

In sostanza, tutti gli alimenti dell’universo plant-based potranno continuare a utilizzare denominazioni come “carne”, “salsicce”,“latte” e via dicendo.

ITALIA DIVISA, OVVIAMENTE

Lungi dal voler operare con un approccio “Divide Et Impera”, tanto cara alla stampa generalista e alla tv spazzatura, che vede l’argomento come l’eterno scontro tra vegani e carnivori, noi di Food nei giorni scorsi abbiamo raccolto alcune dichiarazioni tra le diverse parti in causa, che vedono ovviamente una netta contrapposizione tra “favorevoli” e “contrari”.

Naturale ovviamente la posizione di Coldiretti, che per voce del Presidente Ettore Prandini parla di “una strategia di comunicazione subdola con la quale si approfitta deliberatamente della notorietà e tradizione delle denominazioni di maggior successo della filiera tradizionale dell’allevamento italiano con il solo scopo di attrarre l’attenzione dei consumatori, rischiando di indurli a pensare che questi prodotti siano dei sostituti, per gusto e valori nutrizionali, della carne e dei prodotti a base di carne”.

Gli fa eco l’Associazione Carni Sostenibili: I prodotti a base di vegetali che utilizzano nomi di prodotti a base di carne sollevano interrogativi fondamentali sulle informazioni fornite ai consumatori, sul nostro patrimonio culturale e sul potere del marketing moderno, che mescola valori e grandi interessi commerciali senza farsi troppi problemi”. Recita il manifesto diffuso da Copa-cogeca, ripreso dall’Associazione, che trova d’accordo il settore zootecnico europeo e che punta l’attenzione su un tema fondamentale, la composizione dei prodotti vegetali ai quali oggi si vorrebbe attribuire le denominazioni proprie della carne. “La sostituzione – recita ancora l’appello Copa-cogeca – non è neutra dal punto di vista nutrizionale e una bistecca vegana non è la stessa cosa di una bistecca tradizionale”.

Produrre carne e salumi in Italia è un’azione che ha a che fare con il nostro patrimonio culturale, con il paesaggio che ci circonda e con il nostro modello alimentare e come tale va tutelata commenta Giuseppe Pulina, presidente di Carni Sostenibili – è importante, quindi, sostenere questa campagna che mira alla salvaguardia di una norma importante che non solo difende un patrimonio di know how che ci distingue dal resto del mondo, ma rappresenta anche una tutela per tutti i consumatori che hanno il diritto di scegliere consapevolmente e in maniera informata senza essere fuorviati da una comunicazione ingannevole”.

Nessuno chiamerebbe un hamburger “insalata di carne” allora perché vogliamo chiamare un prodotto che ha, sì, una lunga lista di ingredienti, ma neppure un grammo di carne, hamburger?” Una domanda provocatoria quella di Luigi Scordamaglia, AD  di Inalca e Presidente di Assocarni ma che riassume la posizione del settore zootecnico italiano e europeo rispetto alla discussione ora in corso a Bruxelles sulla possibilità di usare le denominazioni proprie della carne anche per prodotti veg. “Un’appropriazione culturale scorretta e pericolosa nei confronti del consumatore – prosegue Scordamaglia – chiamare “bistecca” o “salsiccia” quello che non lo è, non solo significa usurpare il grande patrimonio di tradizione e know how del settore, ma anche indurre chi acquista a pensare di trovarsi davanti a prodotti equivalenti, anche dal punto di vista nutrizionale, ma così non è”. E conclude Scordamaglia “Non si sta mettendo in dubbio il diritto di scegliere un preparato vegano al posto di un hamburger, si sta chiedendo una scelta chiara – no all’abuso delle denominazioni della carne – nel rispetto del consumatore e della trasparenza, valori che non possono essere negoziati a favore del profitto di qualche multinazionale”.

…E CHI DICE SI

Roberta Frequenza, Marketing Manager di Emilia Foods, ha dichiarato: “Stiamo seguendo ormai da tempo e siamo consapevoli della linea dura che è stata intrapresa e portata al vaglio del Parlamento Europeo in questi giorni contro le alternative vegetali della carne. Lungi da noi pensare di trarre in inganno il consumatore che deve esser ben consapevole dell’acquisto che va ad effettuare, di qualsiasi natura sia l’acquisto in questione. Insistiamo molto sulla comunicazione che deve arrivare chiara, anche perché ad oggi sarebbe impensabile di parlare a consumatori poco attenti; al contrario abbiamo riscontrato la giusta richiesta di informazioni e chiarimenti ai quali vengono date altrettante risposte precise. In particolar modo, per questa tipologia di prodotti, il livello di attenzione posto da parte dei consumatori è ancora più elevato, tanto che nessuno di essi si sofferma esclusivamente sul nome, ma la volontà di approfondimento è ben più articolata, e di questo non possiamo che esserne contenti. Nel caso della nostra linea IDEALE, sotto il brand VIA EMILIA, lanciata a maggio 2020 in Italia, non abbiamo mai parlato di “carne finta”, termine che non ci piace e non abbiamo mai impiegato, ma di “alternative alla carne a base vegetale”. Nella comunicazione che portiamo avanti il riferimento all’origine vegetale è chiara e in evidenza”.

Prevedibili levata di scudi dai produttori di plant-based food. Si è espressa così Natasha Linhart, CEO di Atlante: Sarebbe ironico se cominciassimo a chiamare le cosiddette alternative alla carne con dei nomi come “tubi vegetariani” al posto di salsicce vegetariane o “dischetti di soia” al posto di burger di soia o “palline vegane” al posto di polpette vegane…E’ evidente che l’attuale crescita del mercato delle alternative vegetariane e la conoscenza più matura dei consumatori sugli aspetti etici, ambientali e salutistici rispetto all’eccessivo consumo di carne nell’alimentazione quotidiana è un tema molto critico per i produttori di carne. Personalmente, e questo lo vedo anche nel settore in cui opera Atlante, non ritengo che da parte dei consumatori ci sia confusione sulla natura dei prodotti in vendita, esattamente come non penso che ci sia il dubbio che il burro di arachidi non contenga burro, o che il latte di mandorla non contenga latte di origine animale. E’ anche vero che il consumatore deve essere tutelato e che le confezioni devono riportare per legge tutti gli ingredienti ed evidenziare eventuali allergeni. Il fatto che un consumatore possa consumare un prodotto vegetariano per errore al posto della carne non comporta alcun rischio per la salute; viceversa, il consumo erroneo di carne potrebbe confliggere con principi etici o religiosi. Il vegetarianismo è diventato molto più popolare negli ultimi anni ed i prodotti vegetariani e vegani sono sempre più presenti sugli scaffali dei negozi e nei menù dei ristoranti. I termini straccetti, filetto, macinato, salsiccia, scaloppina, cotoletta, anche se per tradizione sono associati al consumo di carne, in realtà sono solo termini per indicare la presentazione del prodotto finito”.

Non le manda certo a dire Alberto Musacchio, vulcanico Ceo di Joy Food:“A mio avviso, la discussione in corso al Parlamento Europeo è una cosa senza senso, in considerazione del fatto che stiamo affrontando una zoonosi che ha messo in ginocchio tutto il pianeta che va a sommarsi a problematiche climatiche spaventose dovute anche agli allevamenti intensivi. Se consideriamo il fatto che la più grande IPO degli ultimi anni l’ha fatta Beyond Meat, credo che si dovrebbe dimostrare più lungimiranza senza limitare sviluppo e diffusione di alternative alle proteine animali. Mi aspetterei più tutela e supporto da parte delle istituzioni, anche perché le materie prime noi le acquistiamo da produttori italiani”.

© Riproduzione riservata