Carne: Tyson Foods vs Beyond Meat, la sfida continua

La società della “fake meat” ha approfittato della carenza di carne per accrescere i suoi consumatori, ma il gigante dell'Arkansas ha difeso i margini in un contesto difficile per i macelli

La carne è, probabilmente, il prodotto alimentare simbolo della pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti. La sua filiera produttiva, la più importante dell’America a tavola, è stata messa in difficoltà dai tanti macelli temporaneamente chiusi per i lavoratori che vi si sono infettati. Sul lato commerciale le chiusure diffuse del settore Horeca hanno tagliato una grossa fetta di domanda che non è stato possibile, a conti fatti, recuperare totalmente attraverso le vendite nel canale retail.

In questa complessa e articolata situazione della filiera si inserisce il ruolo dei produttori di alternative vegetali alla carne di nuova concezione: quella che viene comunemente chiamata, con una punta di disapprovazione, “fake meat” e che non ha avuto, ovviamente, i problemi produttivi della filiera zootecnica ma che ha dovuto investire somme rilevanti per spostare quote di produzione dal canale Horeca, che rappresenta l’attuale sbocco maggioritario, a quello retail, che ha altre logiche di prezzo e prodotto.

I risultati trimestrali di Tyson Foods, il maggior trasformatore di carne americana, e di Beyond Meat, regina della fake meat, rendono bene il quadro di questo fondamentale settore del mondo alimentare in decisa evoluzione sulla spinta dei cambiamenti sociali in atto. Comparare queste due società sulla base delle grandezze assolute è errato: questo va detto a scanso di equivoci, ma ciò che è interessante è la ricomposizione di mercato di fronte a quello che gli economisti chiamano “black swan”.

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TYSON HA PERSO UN QUARTO DELLA PRODUZIONE DI MANZO

Il gigante americano della carne, forte di 200 macelli, ha riportato ricavi consolidati trimestrali (aprile – giugno) in calo del 7,9% rispetto allo stesso periodo del 2019, pari a 10 miliardi di dollari (8,7 miliardi di euro circa ai cambi correnti). Il dato di trend complessivo va però scomposto per capire cosa sia effettivamente successo in questi mesi. E allora si scopre che i volumi di carne di manzo venduti sono scesi del 23% mentre i prezzi medi sono saliti dell’11 per cento. I problemi di gestione dei macelli, e di una filiera più farraginosa, hanno causato la perdita di un quarto di produzione di Tyson, ma la domanda dei consumatori è rimasta solida e, in presenza di minore offerta sul mercato (le chiusure dei macelli hanno interessato tutte le più grandi imprese), si è scaricata sui prezzi.

Il settore avicolo del gruppo di Springdale (Arkansas), il secondo per importanza di fatturato, non ha avuto invece i problemi produttivi dei bovini. Infatti, i volumi persi sono stati solo il 4,2%, ma in uno scenario di prezzi deboli, che sono scesi del 2,4% a causa della chiusura dei ristoranti che ha impattato sulla domanda condizionando ancor di più i risultati, come si vedrà.

Il calo di produzione nella macellazione si è fatto sentire anche nella divisione che elabora i preparati a base carne, scesi del 16% a volume. Anche il settore suinicolo, il meno importante del gruppo, ha perso volumi.

UN NUOVO CEO CHE VIENE DALLA TECNOLOGIA

Se si guarda al conto economico si scoprono dinamiche molto interessanti, che completano il quadro. A livello di ebit (risultato operativo), la divisione “bovini” ha portato a casa un ottimo risultato nonostante il calo del fatturato dovuto al crollo dei volumi. L’ebit è più che raddoppiato arrivando a 651 milioni di dollari (17,8% dei ricavi) grazie soprattutto a un “incremento della differenza tra i preesistenti accordi contrattuali e il (nuovo) costo del bestiame vivo dopo lo scoppio della pandemia”, come spiega la società, aggiungendo che i risultati sarebbero potuti essere anche migliori se la società non avesse spinto sulle promozioni al consumatore e se non avesse dovuto sopportare i costi legati al contrasto del Covid-19.

Costi che hanno pesato anche sul settore avicolo, che però al contrario di quello della carne bovina ha riportato un ebit negativo per 120 milioni di dollari. La chiusura dei ristoranti ha infatti pesato in misura maggiore in questo caso, e meno intensa è stata la domanda in grande distribuzione per sostenerne almeno i prezzi, com’è invece successo per la carne di manzo.

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A livello consolidato l’ebit trimestrale di Tyson Foods si è attestato a 775 milioni di dollari , sostanzialmente invariato rispetto al 2019. Da segnalare che con questa trimestrale è arrivato l’annuncio del cambio di guardia al vertice del colosso Usa: lascia la carica di amministratore delegato, a partire da ottobre, il 62enne Noel White che sarà sostituito dal 46enne Dean Banks, già nel cda. Prima di entrare in Tyson Banks è stato un dirigente di “X”, una società del gruppo Alphabet (Google) e prima ancora in una società che fa investimenti cosiddetti “seed”, ovvero nelle primissime fasi di vita delle start up. Un curriculum che lascia intendere la volontà di Tyson di premere sull’innovazione, magari pescando dalle partecipazioni della sua controllata Tyson Ventures tra le quali spiccano Menphis Meat, Future Meats Technologies e New Wave.

BEYOND MEAT HA SPINTO SULLE PROMOZIONI

Differenti le dinamiche di Beyond Meat, la società di El Segundo (California) che è stata partecipata proprio da Tyson Foods attraverso la sua controllata nel venture capital prima di sbarcare in Borsa. Le due società si sono poi separate perché Tyson ha preferito sviluppare internamente la propria linea di alternative vegetali alla carne.

Beyond Meat, che recentemente ha avviato i lavori per il secondo stabilimento in Europa, ha visto i ricavi crescere di ben il 65% rispetto allo stesso periodo del 2019, raggiungendo i 113 milioni di dollari (95 milioni di euro), con le vendite in Gdo che sono letteralmente esplose sia in Usa (+194%) sia nei mercati internazionali (+166%) superando i ricavi persi nel canale horeca. La società fondata da Ethan Brown è arrivata a questo risultato sfruttando proprio le debolezze della filiera zootecnica durante il Covid-19.

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La crescita dei ricavi netti è dovuta innanzitutto all’aumento dei volumi venduti, parzialmente neutralizzata da prezzi al chilo più bassi come conseguenza di investimenti strategici della società in promozioni al consumatore con il fine di incentivarne la prova”. La possibilità di accrescere la produzione senza subire i problemi dei macelli è stata quindi sfruttata per incunearsi in spazi di mercato lasciati liberi dai colossi della carne, che i prezzi li hanno invece alzati.

Questa attività, però, ha avuto un costo che si è visto a livello di marginalità, con l’ebit che è sceso in negativo per 8,1 milioni di dollari (+2,1 milioni nel 2019). Hanno pesato, in questa dinamica di margini, anche le spese per spostare quote di produzione già in magazzino dal canale Horeca alla Gdo, che ha comportato una riporzionatura e un riconfezionamento costati 5,9 milioni di dollari che si sono sommati agli altri costi legati al Covid e alle altre iniziative commerciali e strategiche. Il trimestre si è chiuso con una perdita netta di 10,2 milioni di euro a fronte di attese per un pareggio.

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